Giovanni Paolo II “migrante”

Poca politica, nessuna tattica e l’amore di un padre

Città del Vaticano – Quando  a fine novembre del 1986 Giovanni Paolo II fece visita all’Australia, una delle comunità più significative che incontrò fu quella degli immigrati. Italiani, polacchi e di tante altre nazioni.
Gente che aveva “cercato fortuna” nel nuovissimo continente e aveva, in effetti, fatto la fortuna del paese che li aveva ospitati. Il papa conosceva bene l’Australia, l’aveva visitata da cardinale andando ad incontrare proprio la vasta comunità polacca del paese. Lo racconta lui stesso nel viaggio di ritorno da Victoria a Roma. L’occasione era stata il Congresso eucaristico del 1973. I polacchi in Australia era andati dopo la guerra, erano fuggiti dal regime.
Nel 1986 il papa polacco incontra i figli e i nipoti. Sono giovani australiani ora.  Come lo sono i figli e i nipoti degli italiani, tanti, tantissimi.
Ad un giornalista sull’aereo del rientro Giovanni Paolo II risponde: “Io penso che il profilo psico-etnico autraliano è cambiato molto con la immigrazione di tanti che prima non c’erano, italiani per esempio,  e tutti i popoli che sono molto più spontanei, molto più sensibili. Io penso che così il profilo della società e anche della Chiesa e del popolo di Dio cambia e cambierà.”
E’ un principio che vale per tutte le nazioni del mondo.
Come anche negli Stati Uniti. L’America è stata la terra del sogno per milioni di migranti europei,
eppure continua a vivere il contrasto tra chi è dentro e chi è fuori. Le grandi comunità di immigrati che il Papa visita negli Stati Uniti o in Canada sono il simbolo di una terra che si rinnova velocemente e velocemente rischia di dimenticare: anche Dio.
Ovunque vada il papa incontra gli immigrati e parla nelle loro lingua. Anche un breve saluto, una frase imparata per l’occasione nelle lingue più strane.
E sulle varie comunità Giovanni Paolo II si informa. E se non ha avuto tempo di farlo, ci pensano i giornalisti che lo accompagnano in aereo.
Ecco un simpatico dialogo tra il papa e la giornalista tedesca Crista Kramer
“Kramar: Dirà qualche parola anche agli immigrati tedeschi
in Canada?
Papa: Perché, ce ne sono?
Kramer: Sì, ce ne sono molti, soprattutto a Toronto c’è una grande
comunità.
Papa: E parlano ancora tedesco?
Kramer: Non lo so, ma probabilmente vogliono conservare qualcosa
della loro germanicità.
Papa: Bisogna vedere se lo vogliono. Nel mio discorso ci sono parole per tre gruppi, gli ucraini, gli slovacchi e i polacchi.
Kramer: Lei gli dirà che devono conservare la loro unità culturale?
Papa: Lo farò senz’altro.”
E poi l’ America Latina. Con il continuo dramma dei migranti dal sud al nord, le frontiere del Messico, il filo spinato, la miseria. Sono nel cuore del papa non meno che gli immigrati che si spostano da una parte all’ altro del vecchio continente. Come in Austria. La felix Austria dell’Impero che sembra non esistere più è viva nella discreta cordialità della gente di Vienna, nella devozione mariana delle genti dell’est a Mariazell, nella passione dei lavoratori immigrati
che sognano casa loro.
E a chi in aereo tornado a Roma da Vienna chiede perché parlando ai lavoratori abbia parlato anche in turco? Il papa risponde con sempicità: “C’erano i turchi, e loro non capiscono altre lingue. Così mi hanno spiegato. Era una iniziativa degli austriaci. Invece i filippini e
gli indiani capiscono l’inglese.”
Insomma poca politica, nessuna tattica e l’amore di un padre. (Angela Ambrogetti)