I ricordi di Rosina tra turismo e santità

La Migrantes a Lampedusa: “Raccontare la Speranza”

Lampedusa – Rosina sta nella vita in punta di piedi, ma la signora Daietti ha radici salde e profonde nell’isola delle genti di cui, per aspetti divergenti e tuttavia comunicanti, è la memoria storica. Nacque dall’intraprendenza della madre, infatti, il primo ristorante di Lampedusa, il seme del turismo che avrebbe stravolto l’aspetto dell’isola e le aspettative degli isolani.

 
“Negli Anni Cinquanta qui non c’era niente, nessun locale, niente di niente per chi veniva da fuori e quando fu realizzata la caserma dell’Aeronautica, i militari in libera uscita venivano da noi alla Guitgia e chiedevano l’acqua, Un giorno arrivò il comandante in persona, chiamò mia madre e le disse di comprare qualcosa da cucinare ai ragazzi. La prima licenza fu di 3 mesi e così nacque Za Michelina, il primo ristorante, buonissimo, lo ricordano tutti ancora oggi”. Un locale e qualcosa di più, uno di quei luoghi in cui mito e storia locale si baciano e hanno continuato a baciarsi fino ai giorni nostri: mito e storia, infatti, coincidono nel narrare della gestazione e composizione di una canzone da parte di Domenico Modugno, nata da una chitarra nel patio di Za Michelina, mangiando il pane dalla bontà proverbiale e i pesci che aveva catturato il cantante pugliese. “Peccato che io non ricordi il titolo – dice Rosina – ma ricordo che con lui c’era un suo amico che faceva il mago, si chiamava Benini e il fratello”.
Dal versante mondano a quello religioso, Rosina Daietti, catechista per cinquant’anni, ricorda con una lacrima una figura che ha fatto la storia recente di Lampedusa, quella di mons. Giuseppe Policardi. “Per carità – dice – anche don Stefano è bravissimo, non mi permetto di dargli consigli” e non è piaggeria la sua, solo che i tempi sono diversi e Rosina è immersa con dolcezza in quegli altri. “La chiesa era il centro di tutto, ci si incontrava in parrocchia o cantando nel coro, al massimo sul sagrato, le amicizie, dico quelle tra ragazzi e ragazze, nascevano lì. Pochi sapevano leggere ed era il monsignore a farlo per noi: ci leggeva quelle che arrivavano da fuori, ci scriveva quelle che mandavamo noi fuori”. I codici che aiutavano la comunità di allora a comunicare non erano mail o sms, e il power point era lì da venire: “Usava lavagne su cui ci disegnava la vita di Gesù – dice – ma per noi faceva di tutto, l’avvocato, il giudice di pace, faceva persino i testamenti”.
Nessun dubbio per Rosina: “Monsignor Policardi era un santo. Allora c’erano i poveri, ma quelli veri non come oggi. Sua sorella ci raccontava che quando qualcuno lo avvicinava per fargli presente le proprie difficoltà lui gli dava tutto quello che aveva con sé. Quando poi i medici hanno scoperto che aveva un male, allora offriva il suo male per il bene della comunità.
Rosina è un fiume in piena, i ricordi la riportano indietro nel tempo, quando l’isola era lontana dallo sguardo del “continente” ma unita dalla condivisione di tutta la sua gente. Adesso ci deve lasciare, oggi per lei è un giorno pieno di gioia, una coppia di amici celebra il cinquantesimo anniversario di matrimonio: “Vado subito a casa a mettere il vestito elegante, raggiungo i miei amici per andare insieme in parrocchia, non mi sembra giusto per don Stefano arrivare in ritardo”. (N. Arena – Migrantes Messina)