La “rinascita” di Salim

Una giovane coppia lampedusana adotta un migrante

Lampedusa – “Rovistavano tra la frutta marcia in cerca di qualcosa da mangiare”- afferma Cinzia, una mamma giovanissima, venticinquenne, che ha tre figli: uno di essi è tunisino. Si chiama Salîm, ha ventidue anni, ed è sbarcato a Lampedusa il 20 marzo, dopo tre giorni di navigazione su un barcone con 250 persone. “Era un martedì pomeriggio quando ho visto tre ragazzi seduti vicino il cassonetto del fruttivendolo. Uno di essi infilava le mani nella spazzatura in cerca di qualcosa da mangiare” –racconta Cinzia – “così ho comprato un po’ di frutta e gliel’ho portata. Due ragazzi hanno accettato il cibo, uno no”. Quest’ultimo era Salîm: “non mangiava perché aveva un grosso ascesso dentale”-racconta Cinzia. “E allora ne ho parlato con Antonio, mio marito, e abbiamo deciso di contattare il nostro dentista”-spiega la donna lampedusana- “così ci siamo procurati le medicine e lo abbiamo curato, giorno dopo giorno, in un rapporto di fiducia reciproca”. E quando Salîm stava per essere trasferito da Lampedusa “gli abbiamo comprato un cellulare così da tenerci in contatto: ci eravamo infatti promessi che non ci saremmo persi di vista, anche nell’eventualità del rimpatrio” – spiega la “mamma coraggio”.
Dall’isola siciliana Salîm è stato trasferito a Manduria. Da quest’ultimo luogo è riuscito a scappare ma è stato rintercettato quasi immediatamente dalle forze dell’ordine e portato a Potenza. In quest’ultima città, dopo una decina di giorni, Salîm ha ottenuto il permesso di soggiorno, con il quale è ritornato a Lampedusa, da Cinzia e Antonio. E adesso “potrà stare fin quando vorrà. Per noi è come un figlio e anche come un fratello: tutta la famiglia infatti si è legata a lui in un modo inaspettato”- confida Cinzia – “Salîm ha visto la morte con gli occhi ed è forse per questo motivo che ci dimostra ogni giorno tutto il suo affetto: è come se si sentisse rinato e di questo ci rende partecipi”. Il vero nome del ragazzo è Ihmed Sakri, “Salîm” è il nome con cui lo chiamavano in famiglia, a Gabès, ed è anche il nome con cui si fa chiamare da Cinzia e Antonio. Salîm significa “sano”, “buono”. E secondo Cinzia questo vezzeggiativo “lo descrive perfettamente”. Riguardo la vera famiglia del ragazzo: Salîm –da quanto riferisce Cinzia – non ha più il padre e ha dei fratelli più piccoli da aiutare, perché la madre non lavora. Quindi la sua “missione” in Italia è quella di guadagnare una pagnotta per lui e i suoi cari. Le comunicazioni tra le “due famiglie di Salîm” sono “mediate” da uno zio del ragazzo che vive a Bologna. Dunque una sorta di ponte ideale tra Nord e Sud su cui si viaggia con la leggerezza della spontaneità. “Lo zio ne ha parlato con i familiari e loro sono felicissimi per quello che stiamo facendo”- afferma la “neo-mamma” siciliana. Naturalmente parlare di adozione in questo contesto è affrettato e poco adeguato. Ma non si tratta certo di semplice ospitalità. E allora che termini usare? Questa è una di quelle storie che non possono essere categorizzate. È uno di quei miracoli che lasciano attoniti, con occhi pieni di stupore. È uno di quegli incanti scritti con la luce del giorno. È una di quelle love story che non ruota attorno a videocamere e talk show, ma è intrisa di vero affetto e vera fiducia. E a tal proposito Cinzia e Antonio precisano: “non vogliamo che il nostro gesto diventi un fenomeno mediatico, fatto di interviste e fotografie. Siamo infatti persone semplici e vogliamo vivere la nostra giornata in tranquillità”. Tra onde e prati in fiore, in una terra di confine. Piena di sorprese. E profumi. (Damiano Meo)