Simone di Cirene, fratello libico

Una riflessione di mons. Giancarlo Perego

Roma – C’ è un personaggio che da sempre, soprattutto nel racconto della Passione del Venerdì Santo, incontriamo e ci è diventato familiare: Simone di Cirene. Simone è il personaggio evangelico che aiutò Gesù a portare la croce sulla via del Calvario, come ricordano concordemente i sinottici (Mc 15,21-22; Mt 27,32; Lc 23,26 ) e come ha spiegato sant’Ireneo nell’Adversus haereses, opera scritta attorno al 180. Gli ‘Atti dei martiri’ attestano la conversione di Simone di Cirene al cristianesimo. Gli stessi ‘Atti dei martiri’, poi, affermano che Alessandro e Rufo morirono martiri in Spagna e che Simone di Cirene fu consacrato vescovo da san Pietro, predicò nella Spagna e morì a Gerusalemme. Di Simone di Cirene, nel 1941, è stato trovato il sepolcro nella valle del Cedron a Gerusalemme.
Pochi forse sanno che il Cireneo era un libico.
Cirene è oggi una piccola cittadina della Libia di 8.000 abitanti, ma con una grande storia. Cirene, infatti, è un’antica città fondata nel VII secolo a.C. che passò dall’influenza persiana a quella egiziana-tolemaica, vivendo una grande fioritura culturale, tanto da essere chiamata «l’Atene d’Africa», dando i natali a poeti come Callimaco e a scienziati come Eratostene, il primo a misurare la circonferenza della Terra. Nel primo secolo si affermò come la città più importante della provincia romana della Cirenaica, diventando un ponte di collegamento nel Mediterraneo tra Europa e Africa. A Cirene era presente una significativa comunità ebraica, da cui proveniva la famiglia di Simone, padre – ci ricorda in particolare il Vangelo di Marco (Mc 15,21) – di Alessandro e Rufo.
Un terremoto nel IV secolo e le invasioni barbariche distrussero la città e il porto, e gli abitanti la abbandonarono per trasferirsi nella città di Tolemaide. Ricordiamo come vescovo di Tolemaide tra il IV e il V secolo, Sinesio, uno dei più tenaci assertori del diritto d’asilo della Chiesa contro le pretese assolutiste del potere politico, a cui lo storico Henri-Irénée Marrou dedicò uno dei suoi studi più importanti.
La figura del libico Simone assume oggi, tempo in cui la Libia vive una drammatica guerra civile con il coinvolgimento di forze internazionali, un’importante occasione per connettere le vicende attuali della Libia e la storia della passione e morte di Gesù. Il Cireneo ha aiutato Gesù a portare la croce. Oggi forse i cristiani sono chiamati a portare la croce che le popolazioni della Libia e dell’Africa del Nord, della Cirenaica in particolare stanno portando. La storia insegna come in ogni tempo ognuno è chiamato portare la croce di altri, a sostenere le sofferenze e le speranze di chi è sfruttato, maltrattato, respinto, umiliato, ucciso. Simone di Cirene ci ricorda un legame stretto tra il cristianesimo e il Nord Africa, l’Italia e la Libia, la Terra santa e la Cirenaica: l’universalità della salvezza che passa attraverso anche una sofferenza condivisa, una croce portata insieme. Simone di Cirene, il libico Simone e la sua famiglia ci ricordano il dramma di profughi e richiedenti asilo, di immigrati che sono, talora, i primi ad accorgersi della presenza del Signore povero e sofferente dentro la storia.
Non c’ è pagina evangelica, non c’è stazione della Via Crucis presente nelle nostre chiese che, in questo Venerdì santo, risulti più attuale della stazione con la figura del Cireneo, dove un libico, uno straniero aiuta Gesù a portare la croce.
Simone è un libico, nostro fratello, che ci aiuta a guardare come fratelli i libici che oggi soffrono un’’inutile strage’, su un nuovo Golgota.