Le “penne nere” a Lampedusa

Viaggio della Migrantes: “Raccontare la Speranza”

Lampedusa – E’ mattino presto e ci incamminiamo verso il porto per riprendere con la telecamera le immagini di una Lampedusa che si sveglia alle prime luci dell’alba. Percorriamo il lungomare “Luigi Rizzo”: la piccola spiaggia “ornata” di palme, brulica di vita, non si distinguono bene ma l’impressione è che si tratti di persone intente a pulire quello spazio che fino a qualche giorno prima era stato il luogo di sosta e di ristoro per i tunisini giunti nel clou dell’emergenza. Mano a mano che ci avviciniamo la scena diventa sempre più definita, le sagome prendono forma: uomini e donne, però prima di tutto volontari che con rigore e piglio buono si occupano di quella porzione di spiaggia loro assegnata.
Ma quando la distanza lo consente, gli occhi consegnano ai nostri pensieri un’esclamazione comune: “Gli alpini a Lampedusa!”. Ci è sembrato subito un paradosso vedere quei cappelli con le penne nere in riva al mare. La nostra curiosità è tanta e non vediamo l’ora di svelare l’arcano mistero. Ci fermiamo e parliamo con Giovanni, ci dà l’impressione di essere il caposquadra, quello che ha stabilito il da farsi. Scopriamo che arriva da Latina dove ha lasciato la moglie, due figli e cinque nipoti. Ci spiega che appartengono all’Associazione Nazionale Alpini, che sono in tutto 25 e che da circa una decina di giorni si stanno occupando di ridare ordine e pulizia a Lampedusa. Non si tratta di un intervento episodico perché, come ci racconta il nostro interlocutore: “L’Associazione da sempre svolge attività umanitaria e di supporto alla popolazione e anche in questa occasione si è voluta dimostrare pronta e solidale con le necessità della comunità lampedusana, rendendosi disponibile a fornire il proprio contributo in sinergia con le altre organizzazioni”.
Giovanni parla con il piglio del veterano e ne ha motivo. E’ già stato in missioni importanti e più rischiose: nel 2003 in Algeria in occasione del terremoto, nel 2004 nello Sri Lanka dopo lo tsunami, nel 2009 in Abruzzo per prestare soccorso alle popolazioni terremotate. Ma lui ci ripete che tutte sono state importanti perché da tutte si riceve qualcosa: “Questa volta – ci dice – mi porto a casa la generosità e l’accoglienza degli abitanti di quest’isola, per me sono l’esempio vivente di come l’uomo debba superare la divisione delle razze e delle provenienze per riconoscersi nello spazio comune dell’umanità”. Ma Giovanni ci tiene a dire che tornando a casa si preoccuperà di raccontare anche la bellezza di Lampedusa, “dirò ai miei nipoti e ai loro amici che non hanno bisogno di andare ai tropici per scoprire spiagge incontaminate e acque cristalline, che a poca distanza da dove vivono ci sono posti altrettanto belli che nemmeno riescono ad immaginare”.
Questo settantenne, asciutto nel fisico e determinato nelle parole che pronuncia, sembra aver capito che può fare un buon servizio a quest’isola promuovendone quell’immagine che è stata seppellita dalla necessità di raccontare la disperazione e l’esasperazione dell’emergenza. Ma il suo volto diventa triste quando la nostra chiacchierata si sposta sui disperati che raggiungono queste coste. Giovanni si sente solidale con ciascuno di loro e non condivide le affermazioni di quanti dicono che la situazione debba essere risolta “buttandoli a mare” oppure “sparandogli prima che possano sbarcare”. Con un tono di voce segnato dall’emozione afferma: “Noi alpini non la pensiamo così, anche se qualche volta tra i nostri una voce stonata mi è capitato di sentirla”.
Siamo sempre più convinti che sono questi i volti di un Paese in cui ci riconosciamo, sono queste le cose da raccontare per “emarginare” le voci stonate e diffondere l’armonia delle voci solidali. (Santino Tornesi – Ufficio Migrantes Messina)