Zingari: sostenere il processo di integrazione

Lo ha detto oggi il presidente del Pontificio Consiglio Migranti ed Itineranti, mons. Vegliò

Grottaferrata – “Deve essere sostenuto il processo dell’integrazione degli zingari in seno alla cultura della società circostante, con il conseguente cambiamento di mentalità, sia in ambito ecclesiale che civile, e con la creazione di strutture che garantiscano continuità al processo di partecipazione degli zingari alla società”. Lo ha detto mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, intervenendo stamattina all’incontro “Dal Porrajmos all’integrazione” (nella lingua dei Rom Porrajomos significa “divoramento”) in corso a Grottaferrata (Roma). L’iniziativa è stata promossa in memoria dello sterminio dimenticato dei Rom e Sinti sotto il nazismo e il fascismo e rientra nell’ambito della prima edizione del “Salone editoria dell’impegno”. Ad oggi il numero stimato degli zingari in Italia è pari a 150-160mila persone, mentre il Europa si raggiungono i 10-12 milioni di individui.
In Italia la pastorale degli Rom e Sinti è seguita dall’Ufficio apposito della Fondazione Migrantes.
“Uno dei compiti più urgenti da intraprendere – ha sottolineato il presidente del pontificio consiglio – è quello di far sì che gli zingari, particolarmente vulnerabili, si considerino e siano accettati come membri a pieno titolo della famiglia umana. Per questo è necessario tutelare la dignità della popolazione zingara, rispettandone l’identità collettiva e incoraggiando le iniziative per il suo sviluppo e per la difesa dei diritti, senza dimenticare l’uguale importanza da attribuire all’osservanza dei relativi doveri”.
“Una sana organizzazione politica – ha proseguito mons. Vegliò – esige che quanto più gli individui sono indifesi in una società, tanto più necessitano dell’interessamento e della cura di tutti e, in particolare, dell’intervento dell’autorità pubblica”. Ciò implica, ha chiarito il presule, “da parte degli Stati il dovere di promuovere forme di apertura che favoriscano l’inserimento positivo degli zingari, come le relazioni basate sul rispetto reciproco, il riconoscimento delle differenze di identità come punto di partenza per la pacifica convivenza sullo stesso territorio come cittadini, l’impegno di tutti a praticare, con piena onestà, le vigenti disposizioni normative”.
Alla base, comunque, secondo mons. Vegliò, “vi sta l’apertura dell’intelligenza capace di cogliere il significato vero di accoglienza e di comunione, nel rispetto della legalità e della sicurezza”.
“L’esperienza – evidenzia il presule – ci insegna che per favorire il processo d’integrazione degli zingari nella società e nella Chiesa occorre affidarsi a persone cosiddette ‘integranti’, capaci cioè di dialogo e di mediazione, in vista di costruire la reciproca fiducia. La Chiesa può offrire qui un prezioso contributo, individuando e inviando persone in grado di agevolare tale itinerario”. La Chiesa, ma il principio vale anche per gli Stati, ha avvertito il presidente del pontificio consiglio, “non fa pressione soltanto per l’accoglienza degli zingari, ma s’impegna anche a fare il primo passo verso chi è diverso, respinto o non gradito, assumendo atteggiamenti di giustizia e di solidarietà ispirati al Vangelo. È lo spirito evangelico a spingerci ad accogliere la raccomandazione di Gesù di abbattere le barriere, superare le divisioni e indicare nuovi percorsi per realizzare intese e collaborazioni”. Ne consegue, ovviamente, che “anche la minoranza zingara deve impegnarsi ad adempiere i propri doveri e obblighi, con l’attiva e responsabile partecipazione di ogni suo membro”.
Mons. Vegliò ha indicato la “formazione come fattore necessario per i processi di integrazione”. “L’educazione, la qualificazione professionale e l’acquisizione delle competenze – ha affermato – sono requisiti indispensabili per una qualità di vita degna per gli zingari e come condizione per la partecipazione alla vita politica, sociale ed economica in posizione di uguaglianza nei confronti degli altri”. L’”elevato tasso di analfabetismo o di semi-analfabetismo diffuso nella comunità zingara” mette in evidenza che “nel campo dell’istruzione vi sono ancora lacune gravissime, dovute a un insieme di fattori e di condizioni preliminari, specialmente negli aspetti economici, sociali, culturali, nel razzismo e nella discriminazione”. In materia di istruzione e di educazione dei ragazzi zingari (quelli in età scolastica presenti oggi in Europa sono stimati a 6 milioni), per il presule, “è urgente che i Governi si pongano esplicitamente il problema, sotto l’aspetto politico, nell’ottica cioè dell’avvenire democratico dell’Europa e della sua costruzione, nel quadro dell’educazione alla cittadinanza democratica fondata sui diritti e sulle responsabilità dei cittadini. La valorizzazione delle risorse umane e culturali, che questi 6 milioni di ragazzi e adolescenti zingari potenzialmente rappresentano, deve costituire un richiamo per i Governi europei”.
“Nella Chiesa – ha concluso – sono sorte molte iniziative che mirano alla scolarizzazione dei ragazzi e alla preparazione professionale dei giovani e degli adulti. Basti pensare alle opere promosse e guidate dalle Congregazioni religiose e dai movimenti ecclesiali. Per menzionare un esempio, soltanto in Europa, vi sono oggi ben 14 comunità salesiane impegnate in prima linea per i ragazzi e i giovani zingari”.