Pinocchio a Lampedusa tra buonsenso e paradossi

Viaggio della Migrantes a Lampedusa: “Raccontare la Speranza”

Lampedusa – “Lascia perdere questo è un mondo da pazzi, prendi questo paese: Lampedusa è il paese di tutti all’infuori di noi, è così che mi dice il mio Pinocchio”. A parlare è Angelo, il Mastro Geppetto dell’isola che qualche anno fa ha scolpito nel legno il suo burattino e a lui affida i pensieri paradossali, ma anche quelli della semplice assennatezza. Angelo di nome e di fatto, minuto, gli occhi verdi, il sorriso comprensivo, la zazzera bianca, un paio di occhiali che tiene in fondo al naso e quasi deve inseguirli per evitare che cadano.  Si reggono su un equilibrio delicato, come tante altre  cose in quest’isola delle genti e dei destini incrociati. Angelo prende in braccio Pinocchio e confessa di avergli accorciato il naso, ma il perché non lo dice. La spiegazione la azzardiamo noi: forse le parole del pupazzo di legno sono sempre meno bugiarde e sempre più veritiere?
Puntini sospesi e pensieri sospesi. Accanto ad Angelo compare l’alter ego, un altro Angelo, ma più energico. Lo aiuta nella bottega, è ferrarista come lui, milanista come lui, milanese pentito al contrario di lui che è trapanese e si sente: Angelo e Angelo vanno insieme al bar, lavorano insieme da anni e hanno sviluppato un’intesa perfetta. Come perfetta sembra essere l’isola ogni volta uno scorcio prende forma grazie a uno spiraglio che si apre improvviso alla vista, ogni volta che capita di salire su un promontorio o raggiungere un qualunque punto di osservazione.
Questa volta Pinocchio non lo fa, ma c’è chi volta la frittata e affida al paradosso un’altra riflessione fondata sul buonsenso: “Con tutto quello che è accaduto, almeno nessuno ambienterà qui l’Isola dei famosi”. Del resto Lampedusa è già famosa e non ambisce certo a una notorietà televisiva che porterebbe ai grandi numeri. Qui, per vivere, la gente ha bisogno del giusto, non del troppo e se perfino la televisione non è riuscita a modificare il modello antropologico, allora vuol dire che in questa comunità ci sono anticorpi validi e fidati. Franco, l’albergatore, ne è certo: “Viviamo un po’ di turismo e un po’ di pesca, ci basta guadagnare quel poco che serve per vivere, è sempre stato così”. E che i lampedusani siano dei grandi lavoratori è la storia stessa dell’isola a dirlo: i coloni che l’hanno ripopolata sono venuti qui nel 1843 e da allora è il sudore della fronte a scandire le giornate di generazioni e generazioni. Hanno creato teste di ponte ad Ancona, Anzio, soprattutto a Rimini. Molti hanno trasferito barche e famiglia, altri lavorano lì in inverno pescando in Adriatico e tornano in estate per la stagione turistica. Ogni stagione ha tempi e regole definiti, ma dall’operosità e quello che si teme è che Lampedusa possa scivolare, per l’ennesima volta, in fondo all’agenda romana. “In quel caso – dice l’altro Angelo – sui barconi ci andiamo anche noi”.
Se la stagione estiva dovesse andare male, molti si troverebbero nei guai perché le banche non sono poi tanto educate né benevole al momento di esigere rate. A tremare è chi deve sposarsi e ha messo su casa, chi ha ristrutturato l’albergo, chi ha comprato la barca più grande. Se la stagione dovesse essere al di sotto delle attese, i destini potrebbero virare verso terra negativa e diversi progetti di vita trovarsi in mezzo alla tempesta. In più le famiglie al bivio di fronte alla scelta dell’indirizzo scolastico appena finita la terza media. Lampedusa ha solo il liceo scientifico Ettore Majorana e chi non ha il talento giusto è costretto a emigrare in un momento focale della propria esistenza e a lasciare la famiglia mutilata del proprio ruolo, quello dell’educazione, in una fase decisiva dell’esistenza, quella adolescenziale. (Nino Arena – Ufficio Migrantes Messina)