Dietro delle quinte di uno sbarco: la parola agli “angeli del mare”

Viaggio della Migrantes a Lampedusa: “Raccontare la Speranza”

 
Lampedusa – Il nostro albergo si affaccia sul porto, ma anche la hall dove spesso ci fermiamo a parlare per fare il bilancio della nostra giornata è un bel porto di mare. Un via vai di volti che si incrociano, ognuno racconta un pezzetto di Lampedusa: quella dell’emergenza, quella dell’estate, quella dell’inverno, quella di sempre. 
E qui che incontriamo gli “angeli del mare”, i ragazzi della Guardia Costiera che nella fasi più roventi degli sbarchi hanno lavorato 36 ore su 24. Uno dei due, Mimmo, è fidanzato con Chiara, la figlia del proprietario dell’hotel: ha 26 anni, è originario di Brindisi e lavora a Lampedusa già da quattro anni. L’altro invece, Giuseppe, è arrivato sull’isola solo da otto mesi, nel pieno dell’emergenza, viene da Alcamo ed è sposato da nove. I due prima di essere colleghi sul mare sono amici nella vita. Insieme ci raccontano cosa significhi accogliere i barconi carichi di speranza ma al tempo stesso di disperazione, perché il salvataggio, nel vero senso del termine, è quello che avviene in mezzo ad un mare spesso “arrabbiato”. Mimmo è stato di servizio durante lo sbarco notturno dei 46 tunisini, Giuseppe invece era a bordo di una delle tre motovedette che hanno effettuato il trasbordo dei 220 immigrati prima che il natante colasse a picco.
“Quando ci vedono si vorrebbero “tuffare” tra le nostre braccia – ci racconta il neo-sposo – ma poi ci ascoltano e attendono il loro turno”. Perché anche nel momento dello sbarco è necessario rispettare delle regole ed evitare che il caos prenda il sopravvento: spazio dunque ai bambini, poi alle donne ed infine agli uomini. Siamo curiosi di capire bene cosa ci sia dietro le quinte di un salvataggio: i primi ad individuare un barcone sono gli elicotteri e i mezzi della Marina Militare che perlustrano in continuazione le acque di confine, una volta identificato il “target” viene inoltrata comunicazione alla centrale operativa fornendo un’indicazione di massima sul numero di persone a bordo. La “palla” passa dunque alla Guardia Costiera: “A seconda delle condizioni del mare – afferma Mimmo – scegliamo i mezzi con cui uscire, con mare oltre forza 3 si utilizzano le Sar, (anche dette inaffondabili ndr). Non appena il barcone viene avvicinato, se il mare è agitato, due motovedette iniziano a girare intorno al natante cercando di “tagliare” le onde per calmare le acque intorno e facilitare l’operazione di trasbordo”. Solo a quel punto inizia la vera e propria fase di trasferimento e i disperati possono finalmente mettere un piede fuori dall’inferno.
Mimmo è ormai un “habitueè” degli sbarchi, ma il suo collega, anzi il suo amico Giuseppe, ha cominciato a “masticarne” solo da poco e in condizioni non certo semplici. E’ vero, loro sono uomini del mare, ma in certe circostanze sono prima di tutto uomini di fronte ad altri uomini la cui esistenza dipende solo da quegli angeli. E di questo ne sono ben consapevoli, al punto che quando chiediamo loro quale sia il momento più emozionate, o forse più umano, vissuto finora, la risposta coincide: “Quando restituiamo un bimbo alle braccia della propria mamma”.
Domani saranno di nuovo in mare e se non si chiameranno Mimmo o Giuseppe, saranno Francesco, Andrea, Alberto: nomi senza un volto ma che per noi, e soprattutto per chi ancora arriverà da oltre l’orizzonte di Lampedusa, rimarranno sempre gli angeli del mare.