Da uno stormo di gabbiani il benvenuto di Lampedusa

Viaggio della Migrantes a Lampedusa: “Raccontare la speranza”

Lampedusa – L’attesa è stata più lunga del previsto ma ce l’abbiamo fatta. Sole splendente, acqua cristallina, sabbia bianca: se fossimo giunti come turisti avremmo fatto la scelta perfetta, ma non è questa l’occasione. Lo intuiscono subito con sopraffino sesto senso gli abitanti di Lampedusa fermi al porto al momento dell’attracco del “Palladio”: “qualcuno è giornalista, qualcun altro volontario” commentano sottovoce, dopo averci velocemente ma attentamente studiato. Un particolare che può forse spiegare cosa abbia significato in questi giorni essere un lampedusano, isolani “sotto attacco mediatico” per i quali forse è diventato più normale vedere sbarcare un giornalista o un politico piuttosto che un turista, un parente o un amico.

 
“Sembra una condizione surreale”: commenta il proprietario dell’Hotel che dal porto ci conduce in albergo. “Fino a qualche giorno fa in queste strade era un continuo bivacco, si usciva di casa e sembrava di essere in Tunisia, non certo a Lampedusa”. Anche il gestore dell’albergo non manca di pronunciare quella che in questi primi momenti del nostro viaggio sembra essere il sentire comune: “La situazione non è stata ben gestita, né prima, né durante, né dopo”, quasi a voler dire che questo stato di apparente normalità, perché è questa la prima impressione avvertita sbarcando sull’isola, possa cambiare da un momento all’altro.
Le strade che ricordano effettivamente quelle di un paese nord-africano, con edifici color senape e prevalenza di tinte chiare, sono praticamente deserte. Ai nostri occhi però dalla terrazza dell’albergo non sfugge un particolare che ben racconta la Lampedusa degli sbarchi: lungo la strada che costeggia il porto è infatti stato allestito un cimitero di tutte le imbarcazioni utilizzate per gli arrivi degli ultimi mesi. Essere lì a pochi passi da quei natanti interamente realizzati in legno che fino a qualche tempo fa trasportavano con sé enormi “carichi di speranza”, fa un certo effetto. Guardandole da vicino, una accatastata all’altra, ormai prive di “anima”, sembrano persino imponenti, ma in realtà sappiamo bene che nell’enorme distesa marina sono solo dei piccoli puntini che basta un attimo per cancellare. Come spesso accaduto anche di recente. “Non sono le uniche – ci spiega il proprietario dell’hotel – alcune sono sistemate in altre zone o addirittura sono ancora in mare. E’ un peccato perché potrebbero essere recuperate ed utilizzate (così come peraltro prevede un’apposita legge ndr) e invece finiranno distrutte: una barca, soprattutto di questo tipo, ha bisogno di cure, così come viene “cullata” dal mare lo deve essere anche sulla terraferma”. Proprio così, “cullata”, perché le imbarcazioni, per i tanti pescatori che vivono a Lampedusa, sono come dei figli da crescere e allevare con attenzione e premura, sono fonte di sostentamento, sono la vita.
Insieme al mare: trasparente, cristallino, profumato, uno specchio d’acqua in cui riflettersi e rimanere stregati. Un mare che regala vita e morte al tempo stesso. Un mare tenuto “sotto controllo” ma comunque impossibile da “domare”.
Ed il primo benvenuto ci arriva proprio da “lui”: poco prima di scendere dal traghetto infatti, veniamo “allertati” da un gruppo di gabbiani che sembra quasi volerci salutare. L’isola è a pochi metri da noi, ma loro ce lo ricordano comunque: siete a Lampedusa. (E. De Pasquale – Ufficio Migrantes Messina)