A Lampedusa un nuovo incontro con il Burkina

Viaggio della Migrantes a Lampedusa: “Raccontare la Speranza”

 
Lampedusa – Sono venuta a Lampedusa spinta dal desiderio dell’incontro con l’altro, sofferente, in difficoltà. Dopo i miei viaggi in Burkina Faso mi è rimasta nel cuore la capacità di sorridere di chi non ha i mezzi per poter vivere. Mi sono aggiunta ai volontari dell’Ufficio Migrantes di Messina per cercare di capire con loro quale sia in questo momento la realtà di Lampedusa.
La prima persona con cui mi metto in contatto è il dott. Giustino Strano che lavora presso il punto medico allestito sull’isola. Giustino fa parte del progetto dell’Istituto Nazionale Migranti e Povertà, impegnato ad inviare sull’isola medici e personale sanitario.
Mi racconta che questa notte, intorno alle tre, sono sbarcati una quarantina di tunisini,  tra loro anche due donne. Cercano e sperano di poter iniziare una nuova vita ma c’è il rischio che vengano rimpatriati. Sono stati trasferiti nel Centro di Prima Accoglienza in attesa di sapere cosa sarà di loro. In mattinata un nuovo avviso, ancora uno sbarco: 220 gli immigrati giunti a Lampedusa. Ma questa volta non si tratta solo di tunisini: vengono dal centro Africa, dalla Costa d’Avorio, dal Mali e dal Burkina Faso.
“Tra i nuovi arrivati -ci dice Giustino- c’è anche un bambino di due mesi ed uno di undici per i quali serve subito del latte e anche otto ragazzini tra i dieci e dodici anni. Un’immagine che mi fa venire in mente i miei tre figli che a quella età hanno vissuto un’esistenza serena. Loro invece non possono e mi chiedo perché debba essere così”. Eppure, nonostante tutto, queste persone continuano a sorridere, così come mi è capitato di vedere di ritorno dal mio viaggio in Burkina Faso”.
Giustino mi ha spiegato anche la condizione fisica delle persone che sbarcano a Lampedusa dopo giorni di viaggio. Il problema principale è legato all’ipotermia: coloro che arrivano sono esposti all’acqua e all’intemperie per tanto tempo, con indosso vestiti bagnati e ciò compromette la capacità di regolazione termica del corpo, da qui la necessità di utilizzare coperte isolanti.
Tra le foto scattate in occasione dell’ultimo sbarco, mi colpisce quella di una bimba Africana di appena un anno, il suo nome è Selima: dalla coperta che la avvolge esce solo la testolina con piccole treccine che la mamma amorevolmente le ha fatto. I pazienti più gravi vengono invece trasportati all’Ospedale Cervello di Palermo con i due elicotteri a disposizione della Guardia medica.
Non appena finisco di parlare con Giustino ho un unico pensiero in mente: che il dolore e la sofferenza impressa sui volti di queste persone possa servire ad aprire l’anima e il cuore all’altro. Loro ci insegnano la speranza. (Paola Magaudda – Ufficio Migrantes Messina)