A Lampedusa è la quiete dopo la tempesta

Viaggio della Migrantes a Lampedusa: “Raccontare la speranza”

Lampedusa – Il primo incontro sull’isola è con il parroco di Lampedusa don Stefano Nastasi. Attraverso le parole ma soprattutto grazie al ruolo che ricopre all’interno della comunità cerchiamo di capire meglio come sia stata la vita in quelli che lui stesso quantifica “due mesi di massima emergenza” e che se paragonati alla calma che invece regna oggi per la strada centrale di Lampedusa, sembrano lontani.

 
“La situazione muta di giorno in giorno, ma al momento sembra veramente di stare in un’altra isola. – afferma – Fino a qualche settimana fa gli immigrati erano accampati persino sugli scalini della chiesa. C’è stata una cattiva gestione fin dall’inizio, bisognava prendere accordi più chiari, almeno per mettere in condizione queste persone di poter attendere il loro destino qui sull’isola in modo dignitoso e nel rispetto della loro umanità”. Con don Stefano ripercorriamo alcuni dei giorni più caldi dell’emergenza, su tutti la sommossa dei giovani alla casa di accoglienza (da quel giorno in poi chiusa ndr) fomentata da un piccolo gruppo ribelle ma che ha inevitabilmente coinvolto tutti. E questo forse anche a causa di una mancata identificazione preventiva che ha contribuito a favorire una gestione confusa della situazione.
Al dibattito si unisce presto un’altra voce: si tratta di Valerio Landi, Direttore della Caritas diocesana di Agrigento, che raccontandoci la sua esperienza sul campo nei giorni dell’emergenza mette in primo piano il punto di vista dei lampedusani. Ci riferisce dell’enorme disponibilità “li hanno aiutati, li hanno fatti lavare e cambiare nelle loro case, li hanno sfamati. Ma ad un certo punto (circa 7 settimane fa ndr), abbiamo dovuto fare i conti con una vera e propria emorragia umana che non è stata più gestibile e di cui gli stessi abitanti, per quanto aperti all’altro, hanno avuto paura. La loro rabbia anche nel corso delle proteste che sono state organizzate, non era però rivolta contro i tunisini, ma contro il governo, contro le istituzioni, da cui non si sono sentiti supportati, anzi piuttosto “sfruttati”, facendo diventare Lampedusa un caso politico a livello europeo”.
Ed è stato a quel punto che l’esasperazione ha giocato brutti scherzi: perché nonostante lo spirito di accoglienza, gli isolani hanno capito di non potercela fare più da soli. Uno strano meccanismo psicologico quello creatosi nella mente dei lampedusani, oseremmo quasi definirla una “schizofrenia dell’accoglienza”: perché se da un lato c’era il desiderio di dare un aiuto, altrettanto forte era la voglia di ritornare alla normalità. Eppure ora che questa normalità le 5400 anime di Lampedusa sembrano momentaneamente averla riconquistata, avvertono uno strano senso di solitudine: “Gli abitanti si sentono inutili – afferma Valerio Landi – è come se stessero elaborando un lutto”.
Oggi a Lampedusa è la quiete dopo la tempesta, ma oltre l’orizzonte c’è un popolo che “vive” una tempesta senza fine. (E. De Pasquale – Migrantes Messina)