Non spegnete i riflettori su Lampedusa: da secoli è un ponte tra Europa e Africa

Viaggio della Migrantes: “Raccontare la speranza”

 Lampedusa – “Non spegnete i riflettori su Lampedusa: da secoli è un ponte tra Europa e Africa e solo quando l’emergenza rischia di diventare esplosiva, allora tutti si accorgono che esiste”. Padre Carmelo La Magra, direttore dell’Ufficio Migrantes per la Diocesi di Agrigento, parla sul molo di Porto Empedocle con l’intensità di chi vive il proprio ministero come un servizio che non esclude nessun uomo, comunque in cerca di una strada che non può aprire un semplice passaporto, per italiano che sia o tunisino o libico o chissà. Tutti sulla stessa barca, quell’isola in mezzo al mare, Lampedusa Porta della Speranza.
“E’ lì da secoli – ripete padre Carmelo – basterebbe evitare di trasformarla in terreno di scontro e coltivare la sua vocazione, quella dell’incontro”.
Il suo è più di un pio proposito, è un’indicazione operativa che viene dall’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro. Così nei giorni dell’isteria collettiva, la Chiesa agrigentina ha elaborato un piano, individuando tre aree di intervento: pastorale, caritativo e della comunicazione. Lo hanno chiamato Coordinamento per meglio indirizzare le forze vive che a questo progetto daranno il loro apporto, sulla terraferma e a Lampedusa, dove il punto di riferimento è il parroco, don Stefano Nastasi. Accanto a lui ci sono già il vice, don Vincent Nwagala e il seminarista Dario Morreale che presto sarà ordinato diacono.  Nelle prossime settimane si alterneranno diverse famiglie religiose, maschili e femminile, che hanno già manifestato l’intenzione di spendere il loro carisma in questa missione.
Don Stefano apprezza la vicinanza della Diocesi e del suo pastore: “Monsignor Montenegro – spiega – presiederà la celebrazione della Veglia Pasquale, ma è già venuto a confortare la comunità isolana”.
Il secondo ambito di impegno è quello caritativo, prevede interventi a favore dei migranti, ma anche di quanti, a Lampedusa, vivono una condizione di difficoltà.
Il terzo piano è quello della comunicazione, che tende a spezzare l’univocità del messaggio che dall’isola rimbalza sul resto d’Italia e, ormai, d’Europa: quello di una comunità in preda a una crisi di nervi per un’emergenza del tutto prevedibile. Buone comunicazioni per dare il senso dell’impegno di una Chiesa locale che ogni giorno vuole riconoscere nel volto dell’altro il segno della presenza di Cristo in mezzo a noi. (Nino Arena (Ufficio Migrantres Messina)