Per una cultura del riconoscimento dei popoli Rom

Una nota della Migrantes in occasione della Giornata Internazionale dei Rom che si celebra domani

Roma – La Giornata internazionale dei Rom, che cade domani, 8 aprile, precede di poche settimane, quest’anno un evento straordinario annunciato dal Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti: l’invito a casa sua che il Papa ha fatto al mondo dei rom, sinti e caminanti italiani per la vigilia della Pentecoste, l’11 giugno. Un segno dello Spirito, che chiede una maturità della Chiesa di oggi nell’approccio al popolo rom, che passa attraverso l’attenzione alla diversità e all’alterità, alla stranierità non come estraneità, ma come “sé da riconoscere nell’altro” (P. Ricoeur). Il ‘riconoscimento’ dei rom in Italia e in Europa, un popolo di 12 milioni di persone, diventa il luogo di un’educazione all’alterità, accompagnato dall’incontro, dalla tutela, dalla promozione fino alla costruzione di una città e di una Chiesa fraterna. Riconoscere significa imparare lo sguardo di Dio, come ricordano i salmi, significa saper ‘vedere’ come il Gesù di Giovanni. Non basta avere un’idea dell’uomo, un antropologia cristiana, se non sappiamo costruire sguardi, incontri, relazioni. Il riconoscimento diventa pieno nella fraternità, che è l’evoluzione piena della cittadinanza, dentro la globalizzazione, e che si misura anche a partire dalla qualità della relazione con il popolo rom. La differenza cristiana sta in questa consapevolezza dell’unità del genere umano, che non esclude nessuno dalla “storia d’amore” della Chiesa. L’identità cristiana non è mortificata dalla differenza, ma cresce nell’incontro, nello scambio nel dialogo nell’intelligente relazione, come ci ha ricordato Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate. “ Serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione. Un simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione. Si tratta di un impegno che non può essere svolto dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi come la metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell’uomo. La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone”(n. 53). Il riconoscimento del popolo rom è un ‘segno dei tempi’, un luogo quasi sacramentale dove educare alle relazioni, all’incontro, educare a guardare, interessarsi, appassionarsi. Riconoscere il popolo rom significa offrire strade culturali ed ecclesiali, politiche nuove: di costruzione della cittadinanza, riconoscendola sempre come un dono, una concessione, un riconoscimento verso l’altro, prima che uno spazio identitario; di dialogo religioso ed ecumenico, come esperienza di riconoscimento della differenza; di mediazione sociale in città, come riconoscimento sociale; di dialogo interculturale e plurale; di scelta della non violenza dentro una prospettiva diplomatica diffusa. Sono strade universali di educazione all’alterità e alla cattolicità, ad abbracciare tutti (cfr. L. G. 13), alla mondialità, che possono trovare nella quotidianità il luogo concreto di traduzione e di incarnazione, dove nessuno viene ignorato, dimenticato, escluso e dove ogni falsità, dimenticanza e esclusione rischia di lasciare fuori dalla porta della vita personale e della città chi può regalare un figlio alla nostra famiglia umana. Come alle querce di Mamre, dove aprendo la porta, condividendo, superando la paura si è generata la storia di un nuovo popolo, una nuova umanità.( Giancarlo Perego)