Italia o morte

Un editoriale del Direttore di “La Vita Cattolica” di Cremona, mons. Vincenzo Rini

Cremona – “Siam pronti alla morte:Italia chiamò!”. L’inno nazionale italiano potrebbe essere considerato, oggi, inno nazionale degli emigranti dal Nord Africa, che in migliaia sono pronti a rischiare ogni giorno di morire tra le onde del “Cimitero Mediterraneo” pur di arrivare in Italia e, da qui, negli altri Paesi europei. Leggendo i giornali, in questi giorni, mi hanno lasciato sgomento alcune fotografie. Anzitutto, quella di un cimitero dei clandestini, dove appaiono tombe di migranti con su scritto “Ignoto n. 11”, “Cadavere n. 20”, con, accanto, la data e il luogo dello sbarco e della morte. La seconda è quello di un clandestino che fugge, braccato dalle forze dell’ordine a cavallo: mi ha fatto tornare alla mente scene di film nei quali si dà la caccia a cavallo alla selvaggina.

 
Per carità: non ce l’ho con le forze dell’ordine; la situazione incontrollabile porta anche a questo. Le due fotografie, comunque, danno l’idea della disumanità della situazione.
Specialmente se accostate a titoli, quali: “Fuggivano dalla Libia, 68 morti in mare”. Che non sono i primi, né saranno gli ultimi: i morti nel tentativo di entrare in Europa, dal 1988 sono oltre 15.000.
Il governo italiano si trova ad affrontare una situazione insostenibile “in solitaria”, a causa degli egoismi degli altri stati europei e della UE stessa, che sono comunitari solo nelle questioni economiche, ma sono chiusi in se stessi nei problemi umani più delicati e difficili.
Risolvere il problema gridando “föra di ball” non ha alcun senso: la fame unita al bisogno di libertà e di sicurezza per la vita propria e della famiglia fa sì che l’invasione sia inarrestabile se affrontata solo con la chiusura delle frontiere. La storia lo insegna fin dai tempi della fine dell’impero romano: nessuno può fermare i popoli poveri del mondo, nemmeno gli eserciti e nemmeno la morte. La soluzione sta unicamente nella solidarietà e nella progettazione politico/economica. Questo significa che, anzitutto, il problema va affrontato insieme dall’Unione Europea e da tutti gli stati membri; in secondo luogo, che occorrono progetti seri per aiutare i paesi della sponda sud del Mediterraneo a realizzare uno sviluppo economico interno con piani coordinati di investimenti, in un clima di democrazia fondata sul rispetto dei diritti umani. Un impegno di lungo periodo, ma alla fin fine meno costoso della guerra all’immigrazione; soprattutto meno carico di sofferenze umane
e di morte. Fino a quando l’Europa non sceglierà questa strada il dramma continuerà. E continueranno gli sterili giochi politici sulla pelle dei poveri, per interesse di parte.