Pisa: una riflessione del vescovo dopo la protesta di un centinaio di persone contro l’arrivo di immigrati

Da parte della comunità cristiana che da sempre è “in prima linea nel cercare di dare risposte d’amore a chi si trova nel dolore e nella difficoltà – scrive mons. Giovanni Paolo Benotti – non può che essere coltivato l’atteggiamento della carità e della solidarietà

Pisa – “L’emergenza” rappresentata dal flusso ininterrotto di profughi che approdano a Lampedusa chiede “non soltanto che vengano attivate risposte tecniche adeguate da parte delle Autorità italiane ed europee, ma soprattutto che non ci si lasci prendere da una specie di paura irrazionale che facilmente degenera in chiusura nei confronti di chiunque, che solo con il suo esserci, in qualche modo rappresenti una potenziale messa in discussione degli assetti esistenti”. Lo afferma in una nota mons. Giovanni Paolo Benotti, arcivescovo di Pisa, sottolineando che “non è certo con la chiusura preconcetta nei confronti del prossimo che si possono affrontare queste emergenze epocali, bensì attivando sempre di più relazioni di collaborazione e di incontro e all’interno della nostra società e nei rapporti internazionali, entro i quali sarà possibile dare risposte davvero capaci di sostegno a chi si trova nel bisogno”. A Pisa un centinaio di persone ha protestato di fronte all’ex ospedale di Calambrone scelto come una delle strutture toscane che avrebbero dovranno accogliere gli immigrati”. Adesso, a Pisa come nel resto d’Italia, “c’è bisogno – scrive il presule – di una solidarietà immediata che bussa alla porta del cuore di tutti: noi, come comunità cristiana, ci saremo come ci siamo sempre stati”. Da parte della comunità cristiana che da sempre è “in prima linea nel cercare di dare risposte d’amore a chi si trova nel dolore e nella difficoltà – aggiunge il presule pisano – non può che essere coltivato l’atteggiamento della carità e della solidarietà; e mentre chiediamo che vengano attivate risposte condivise sul piano internazionale, esprimiamo la disponibilità della fraternità e del sostegno perché sempre e comunque, nel volto del profugo siamo capaci, come persone umane, di riconoscere il volto di un fratello in umanità, con pari dignità, e come cristiani il volto stesso di Gesù che ripete a tutti: quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.