Un romanzo per parlare di integrazione ai ragazzi

Ispirato a una vicenda realmente accaduta “Il volo di Alice. Quando l’amore viene da lontano” di Zita Dazzi

Milano – “L’impegno della Chiesa ambrosiana sull’immigrazione è molto importante e coraggioso. A partire dai Cardinali Martini e Tettamanzi, fino a tutti i sacerdoti e i frati che si occupano sulla strada degli stranieri. Sfidando pregiudizi e razzismi, la parola che viene dalla Chiesa è sempre quella dell’accoglienza, della solidarietà, di saper guardare oltre gli schemi. Parole importanti in una fase storica dell’Italia, in particolare del Nord, in cui invece prevale un egoismo pazzesco, una chiusura mentale, un pregiudizio, un preconcetto verso tutti gli stranieri che fa veramente impressione”. Zita Dazzi è una giornalista di Repubblica. Cura l’informazione della vita della Diocesi, ma si occupa anche dei temi dell’immigrazione. Ha appena pubblicato un nuovo libro, Il volo di Alice. Quando l’amore viene da lontano (Rizzoli, 160 pagine, 11.50 euro), nel quale si ispira a una vicenda realmente accaduta. “È la storia di una famiglia di peruviani integrata nel tessuto cittadino di Milano: la mamma fa la colf e vive con i suoi due figli. Una storia di vita assolutamente normale: la donna fa di tutto per stare nella legge, per non avere problemi. Il ragazzino studia e va a scuola – racconta Dazzi -. È il quadro dell’immigrazione che c’è a Milano, che nella gran parte è fatta di persone che lavorano normalmente, che mandano i figli a scuola, che non delinquono, che vivono in case modeste e pagano l’affitto. Insomma, un’immigrazione che non ha niente di quei toni e di quei problemi che allarmisticamente vengono continuamente agitati. Il ragazzino reale della storia per una questione burocratica perde il permesso di soggiorno, la mamma è via in Perù per un brevissimo periodo per recuperare l’altro figlio. Lui sta male e non va a farsi curare in ospedale perché ha paura di essere denunciato. Ma questa sua decisione ha conseguenze molto dure. Nella realtà il ragazzino addirittura è morto. Quello che nel libro si chiama Jaime, in realtà si chiamava Luis, era un ragazzo peruviano che viveva a Pavia, la mamma era via e non si è fatto curare, una banale appendicite è diventata una peritonite che l’ha portato alla morte”. Una tragica ironia, la paura alla fine ha ucciso l’immigrato: “Sì, al contrario di quello che succede nei racconti di alcuni, della percezione di molti”. Nel libro in realtà il protagonista peruviano è vivo e semplicemente scappa dopo un incidente automobilistico, rifiuta di farsi curare perché in quel momento gli hanno rubato i documenti “e alla fine pur di non andare in ospedale con la paura di essere identificato come clandestino, quindi un pericoloso terrorista, scappa e rinuncia al viaggio che stava facendo”. Nel libro si racconta anche della storia di affettività nata tra i banchi di scuola tra il ragazzo peruviano e Alice, figlia di una famiglia borghese della Milano bene. “Sono storie che si vedono tutti i giorni anche nella vita quotidiana. Lo vedo dalla scuola dei miei figli, dove compagni di classe stranieri ce ne sono fin dall’asilo e sempre più integrati anche al liceo, dove ci sono ragazzi stranieri che studiano in un modo molto passionale, perché devono dimostrare ai genitori che ha un senso essere lì a scuola invece che a lavorare”.

 
Dunque, la scuola opportunità di integrazione come gli oratori. “Trovo che il messaggio della Chiesa – sottolinea Zita Dazzi – sia quello che concretamente tutti i giorni viene fatto nelle parrocchie e negli oratori, anche proprio dove si confrontano i ragazzi, dove è molto importante l’essenziale. Se non ci fosse questo, Milano sarebbe un deserto totale”. (P. Nardi –www.chiesadimilano)