Cei: gli immigrati sono cittadini

La dichiarazione di mons. Pompili, direttore delle comunicazioni sociali al termine della seconda giornata dei lavori del Consiglio Permanente

 
Roma – Sulla “delicata” questione dell’immigrazione, la pace e l’accoglienza “risultano strettamente collegate: ci si apre all’una, solo se si è aperti anche all’altra”. Lo afferma mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei, riferendo sui lavori della seconda giornata dei lavori del Consiglio Permanente della Cei in corso a Roma. “La necessità di una nuova stagione di inclusione sociale che porti al riconoscimento degli immigrati come cittadini, soggetti di diritti e di doveri – ha aggiunto mons. Pompili – è un obiettivo che non potrà essere ulteriormente dilazionato”.
Durante i lavori – ha aggiunto il direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali riferendo – sono stati molti gli interventi che hanno fatto seguito alla prolusione del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, di cui è stato “apprezzato l’approccio generale e, in particolare, la trattazione di alcuni temi come lo specifico contributo della Chiesa al nostro Paese e la richiesta di abbandono delle armi con l’avvio di una soluzione diplomatica per la questione libica”.
Sullo specifico dell’azione ecclesiale è stata “valorizzata” da più di uno dei Vescovi l’immagine delle parrocchie “come palestre dello Spirito”, dove “avvengono miracoli perché si cerca il Signore”. L’attività pastorale, dunque, non è “una distesa polverosa di fatti burocratici che si ripetono”, ma “una serie provvidenziale di eventi che aiutano le persone ad uscire dall’individualismo”, ripartendo dalla realtà. Per far questo – è stato sottolineato – si richiede anche uno sforzo di pensiero che tragga spunto dalla rivelazione cristiana. Solo un discernimento attento che faccia perno – ha detto mons. Pompili –  sulle categorie cristiane di fondo evita di andare a rimorchio dei luoghi comuni o dei pregiudizi più diffusi, facendosi interpreti di un giudizio originale e controcorrente”. Così, ad esempio, il problema demografico è “un segno dell’erosione antropologica che dovrà mettere in conto non solo politiche familiari più attente, ma anche una cultura della vita più diffusa”.