Cei: la situazione degli sbarchi nelle parole del presidente card. Angelo Bagnasco

In apertura della sessione primaverile del Consiglio Permanente

Roma – Il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella sua prolusione in apertura della sessione primaverile del Consiglio Permanente, ha dedicato un ampio spazio alla situazione degli arrivi a Lampedusa e sulle coste italiane di profughi provenienti da diversi Paesi.
Pubblichiamo integralmente le parole del card. Bagnasco:
 
Tempo addietro ci trovammo ad osservare come la lingua di terra chiamata Italia sia naturalmente disposta a ponte verso altri continenti e altri popoli. Quasi che neppure i particolari in essa siano a caso e tutto concorra a determinare una vocazione specifica di questa terra e della nazione che in essa risiede. Ed è ciò che oggi torniamo a dire ai nostri concittadini: non ci è consentito di disinteressarci di quel che avviene fuori di noi, nelle coste non lontane dalle nostre. È un’illusione pensare di vivere in pace, tenendo a distanza popoli giovani, stremati dalle privazioni, e in cerca di un soddisfacimento legittimo per la propria fame. Coinvolgerci, e sentirci in qualche modo parte, rientra nell’unica strategia plausibile dal punto di vista morale ma − riteniamo − anche sotto il profilo economico-politico. L’interdipendenza è condizione ormai fuori discussione ed essa si fa ancora più cruciale e ineluttabile in forza delle vicinanze geografiche. Che però, nel nostro caso, riguardano l’Italia alla stessa stregua con cui riguardano l’Europa, di cui siamo parte: i confini costieri della prima infatti coincidono con i confini meridionali della seconda. L’emergenza dunque è comunitaria, e va affrontata nell’ottica di destinare risorse per uno sforzo di sviluppo straordinario, che non potrà non raccogliere poi benefici in termini di sicurezza complessiva. Continuare a ritenere interi popoli poveri come fastidiosi importuni non porterà lontano. Essi domandano, a loro modo, di partecipare alla fruizione dei beni materiali, mettendo a frutto la loro capacità di lavoro, e intanto chiedono ciò che finora non hanno potuto produrre. Nei nuovi scenari, è un’illusione riuscire a piantonare le coste di un continente intero. È l’ora dunque di attuare quelle politiche di vera cooperazione che sole possono convincere i nostri fratelli a restare nella loro terra, rendendola produttiva. Non si diceva forse, nel momento in cui ci si preparava a far fronte alla crisi economica internazionale, che sarebbe stata l’occasione per ridefinire le priorità e le scale di valore, in ordine alle scelte strategiche?
L’Italia ha esigenze di sicurezza e di stato sociale che non può disattendere e vincoli di compatibilità economica che pure vanno rispettati. Dinanzi alla nuova emergenza, ci si sta muovendo tra comprensibili difficoltà e qualche resistenza, al fine di offrire una prima accoglienza a quanti arrivano dall’Africa. Ma per predisporre soluzioni minimamente adeguate per gli sfollati, i profughi o i richiedenti asilo c’è bisogno, oltre che dell’apporto generoso delle singole Regioni d’Italia, anche della convergenza dell’Europa comunitaria, chiamata a passare – come giustamente si è detto – da una «partnership della convenienza» a quella della «convivenza». Tutta l’Europa è − non da oggi − in debito verso l’Africa, e deve ora operare per non rendere fallimentari gli sforzi di questi popoli in cammino verso approdi più democratici e rispettosi dei diritti dell’uomo. Bisogna avere l’intelligenza della storia, e un senso del dovere commisurato alla svolta in atto al fine di corrispondere immediatamente alle sfide in maniera concreta e attraverso misure confacenti. Quale sarà il traguardo di tanti fratelli e sorelle in umanità, esso beneficerà o danneggerà tutti. Come Chiesa, con l’umiltà dei nostri mezzi, siamo già in campo, e in particolare attraverso la Caritas Italiana si stanno rinforzando gli aiuti alle Caritas del Nordafrica, si sostiene una presenza fissa nei principali campi di raccolta, e si dà appoggio alle strutture delle Diocesi più esposte. Una particolare, fraterna vicinanza la vogliamo esprimere all’arcivescovo di Agrigento, S.E. Mons. Francesco Montenegro, che ha la cura pastorale dell’isola di Lampedusa, avamposto sospirato di tanti profughi. È noto che gli immigrati colà superano ormai la popolazione locale determinando − involontariamente − una condizione di generalizzato, profondo disagio. L’attività lavorativa della piccola comunità rischia di finire seriamente compromessa, tra le crescenti preoccupazioni delle famiglie. Nell’esprimere cordiale ammirazione per la generosità e il senso dell’accoglienza che da sempre contraddistingue la popolazione lampedusana, chiediamo ai Responsabili un ulteriore sforzo perché, avvalendosi di tutti gli strumenti anche comunitari, si dia sollievo all’isola e ai suoi abitanti. Non devono infatti sentirsi soli.
Si ha conferma che la stragrande maggioranza di coloro che arrivano sono giovani, al pari di quanti, attraverso le immagini della televisione, si sono visti e si vedono manifestare nelle piazze. In tal modo si profila un sottile problema di interfaccia tra coloro che, vogliosi di vita, spingono per entrare e la vecchia Europa che tenta di difendere i propri bastioni. Ma proprio qui si annida anche, sotto il profilo culturale, la carica più dirompente di questa emergenza.