Milano: gli stranieri siano accolti nelle parrocchie

Don Virgino Colmegna commenta il Documento finale del Consiglio presbiterale nel quale il fenomeno migratorio è definito ormai strutturale e non più emergenza

Milano – Don Virgino Colmegna ha presieduto la Commissione preparatoria alla terza sessione del Consiglio presbiterale diocesano, che si è tenuto la scorsa settimana sul tema “L’immigrazione come sfida e opportunità pastorale”. A conclusione dei lavori, gli abbiamo chiesto un commento. “È stata una discussione molto positiva, che ha visto intervenire tutti – ha detto don Colmegna -. Si è affermato molto chiaramente che la pastorale degli immigrati è ormai una pastorale ordinaria, strutturale. Non può più essere considerata eccezionale”. Per questo è stato formalizzato l’invito a far sì che la pastorale delle comunità etniche entri nelle delle parrocchie.

 
Cosa significa questo, in pratica? “Significa – spiega Colmegna – che accanto alle celebrazioni per la comunità filippina e sudamericana, che si svolgono in alcuni punti della città, è bene che filippini e sudamericani comincino a frequentare anche le parrocchie. È giusto che venga accompagnata la specificità di certi gruppi etnici, ma non può esistere solo un’attenzione parallela. In molte parrocchie esistono già esperienze che possono essere esemplari: vanno valorizzate”. Sempre in quest’ottica, il Consiglio presbiterale “ha auspicato che i presbiteri che provengono dalle comunità migranti partecipino attivamente al presbiterio diocesano”. Don Virginio non dimentica, tuttavia, che al fenomeno migratorio, pur diventato strutturale, sono ancora legati episodi di emergenza, come l’attualità sta dimostrando in questi giorni: “In questi casi lo stile di accoglienza della comunità cristiana deve essere motivato evangelicamente ma deve anche confrontarsi con le Istituzioni, che non possono delegare in toto, in nome dello spirito di carità”. Allo stesso modo, l’accenno al Fondo famiglia e lavoro, citato nel Documento finale del Consiglio approvato all’unanimità, “è stato inserito come elemento simbolico, a ricordare che la comunità cristiana non può dire solo parole. Ma questo non vuol dire deresponsabilizzare le Istituzioni, che hanno il dovere di risolvere certi problemi”.