L’emigrazione italiana in Romania e l’immigrazione romena in Italia

Presentato a Baia Mare il Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Durante l’incontro si è parlato del flusso migratorio dei romeni in Italia

Baia Mare – Sabato scorso a Baia Mare, in Romania, è stato presentato il Rapporto “Italiani nel Mondo” 2010 della Fondazione Migrantes presso la prestigiosa cornice dell’hotel Carpati. Il Rapporto è stato presentato dalla curatrice Delfina Licata e dal Presidente del Sei UGL Luciano Lagamba.

 
Il proprietario della struttura ricreativa Hulbar Martin ha salutato con piacere l’iniziativa essendo un amante dell’Italia. Lo stesso albergo, infatti, trasuda italianità: dai marmi alla manifattura degli arredi l’accogliente struttura con il simpatico e affettuoso proprietario sono il simbolo della concreta amicizia che lega Italia e Romania da secoli ormai.
L’iniziativa nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Migrantes e il Sei-UGL e dalla ricerca condotta tra il 2009 e il 2010 e pubblicata nel Rapporto Migrantes 2010 che ha visto la somministrazione di un questionario a 200 italiani residenti in Romania e in particolare a Baia Mare grazie alle strutture del Sei-Ugl operanti sul territorio romeno.
All’iniziativa hanno aderito italiani emigrati da 15-20 anni, ma anche molti docenti della Università del Nord di Baia Mare e, in particolare, il decano della facoltà di lettere Petru Dunca.
Nel suo intervento introduttivo, dopo aver salutato e ringraziato i presenti, Lagamba ha sottolineato quanto siano importanti iniziative di questo genere per la conoscenza reciproca e quanto valore la presenza del doppio punto di vista abbia in termini di mobilità globale all’interno dell’Unione Europea di due paesi che hanno conosciuto in tempi diversi la stessa storia migratoria.
È stata Delfina Licata a ricordare che ad arrivare per primi in Transilvania, nel 1821, furono gruppi di tagliaboschi e lavoratori del legno trentini, provenienti dalla Val di Fassa e dalla Val di Fiemme, seguiti dai friulani. A partire dal 1880 seguirono anche i bellunesi. Friulani e bellunesi raggiunsero i Carpazi orientali e meridionali impiantandovi le prime segherie meccaniche. Negli anni ’70 del XIX secolo, fu chiesto al vescovo cattolico di Bucarest, mons. Ignazio Paoli, un parroco per le famiglie italiane.
Nelle Avvertenze per l’emigrante italiano nei Paesi Balcanici e in Romania, curate nel 1910 dal Commissariato regio dell’emigrazione, si raccomandava di munirsi di passaporto vistato dal consolato romeno, per non correre il rischio di essere respinti alla frontiera, di munirsi di un contratto di lavoro scritto per evitare gli sfruttamenti, e si dissuadeva dal confidare nell’assistenza consolare per il rimpatrio gratuito o altre necessità (ad esempio, in caso di infortunio sul lavoro non interveniva una copertura assicurativa).
Nel tempo il legame tra i due paesi è rimasto. Oggi l’Aire conta ad aprile 2010 quasi 3 mila italiani in Romania per il 31% donne. Si tratta soprattutto di giovani in età da lavoro (il 35% ha tra i 18 e i 49 anni), quasi per la metà coniugati (48,5%). Guardando alle motivazioni di iscrizione all’anagrafe del Ministero dell’Interno il 73,5% si è iscritto all’Aire perché emigrato e questa è un’ulteriore prova della recente ma non recentissima emigrazione, risultando più del 40% residente in Romania da 5 anni.
All’inizio degli anni ’90 la Romania è emersa sullo scenario europeo come un paese a forte pressione migratoria. Inizialmente furono le minoranze etniche ad emigrare (quella sassone, ungherese e in parte rom). Dopo la caduta del regime, sono state chiuse numerose fabbriche e molti non sono sopravvissuti al passaggio verso una economia di mercato.
I romeni, che in Italia erano appena 8.000 nel 1990, sono andati continuamente aumentando, fino a diventare, attualmente, un milione circa: cento volte di più nel volgere di due decenni, diventando la collettività più consistente, prima degli albanesi e dei marocchini anche se spesso soggetti a forme di sfruttamento (lavoro nero e caporalato) e di discriminazione.
Nel contempo gli italiani ivi residenti sono aumentati, soprattutto i lavoratori a seguito delle imprese che nel frattempo delocalizzavano la loro attività, tant’è che oggi il dato ufficiale risulta di gran lunga sottostimato.
Attraverso gli uffici del patronato Sei-Ugl sono stati somministrati 200 questionari ad altrettanti italiani presenti sul territorio romeno. Sono emersi spunti interessanti, utili a precisare il profilo di chi sia oggi l’italiano che vive da immigrato in questa nazione maggiormente conosciuta come paese di emigrazione: si tratta in prevalenza di maschi, in età lavorativa (dai 30 ai 40 anni), celibi e senza figli, originario del Centro-Italia (prevalentemente Lazio e Toscana), iscritti all’Aire, in possesso del diploma di scuola media superiore, nati in Italia e certi di rientrare nel Belpaese.
La positiva situazione vissuta dal campione non è stata immediata ma il frutto di anni di sacrificio, che comunque, con la partenza erano stati messi in conto.
È stata superata la situazione di bisogno ma non è stato raggiunto un benessere vero e proprio, ma una piena e ottimale condizione economica riscontrabile peri connazionali in altri contesti migratori.
Infatti, il 60% del campione non ha una casa in Italia; il 92% non invia soldi in Italia e il 70% non trascorre le vacanze in Italia, non solo perché non interessa farlo (27%), ma anche perché mancano le risorse (43%) complice la negativa congiuntura economica vissuta su scala mondiale.
Dopo aver delineato questi punti si è aperto un interessante dibattito in cui i presenti italiani e romeni si sono scambiati informazioni e hanno interagito su potenziali sviluppi di azione nell’unico interessante fine che è quello della costruzione di una identità europea che tenga presente le particolarità italiane e romene ma che faccia un salto di qualità pensando all’Europa Unita e alle nuove generazioni.