Per gli ucraini una chiesa vicina

Intervista al vescovo Lachovicz sull’incontro con i suoi connazionali in diocesi di Padova

Padova – Una visita ordinaria, ma soprattutto una nuova occasione, per la chiesa greco-cattolica ucraina, per confermare la sua vicinanza alle persone immigrate residenti in diocesi di Padova. È questo il semplice e concreto messaggio sotteso alla visita apostolica, che si è conclusa da poco, compiuta dal vescovo ucraino Dionísio Lachovicz alle comunità cristiane ucraine di Padova ed Este.

 
Il vescovo Lachovicz, dell’ordine di san Basilio magno, è il visitatore apostolico rappresentante del sinodo dei vescovi della chiesa greco-cattolica ucraina in Italia, e per lui questo è stato il secondo incontro con i fedeli immigrati nella diocesi di Padova.
Vi sono alcune motivazioni o particolari obiettivi che si era prefissato all’inizio della visita pastorale alle comunità padovane?
“La visita è un incontro ordinario che compio ogni due anni, ma è anche un’occasione per dare un appoggio spirituale, morale e psicologico ai fedeli, per far loro capire che non sono soli, ma che la loro chiesa è presente e che non sono stati abbandonati dall’Ucraina. Preferisco non cominciare un nuovo incontro con idee prestabilite, perché il mio obiettivo è quello di ascoltare la gente. Così, durante la visita, prediligo dedicare sempre spazio alle confessioni per entrare in contatto diretto con le persone e comprendere in profondità le problematiche umane e spirituali presenti nei loro cuori, che poi diventano gli argomenti da riprendere nelle prediche durante le celebrazioni o nelle riflessioni dei momenti comuni. Dopo la liturgia un altro momento significativo è l’unzione con l’olio santo di ciascuno dei presenti. È un momento speciale per entrare in contatto con i fedeli: si supera la distanza fisica ed è come se attraverso le mie mani fossero la chiesa e l’Ucraina ad accarezzare ognuno di loro. Per tanti è un’esperienza nuova, in cui magari per la prima volta sentono la chiesa più vicina, capace di superare le distanze e in grado di stabilire un vero contatto umano”.
Durante la sua permanenza a Padova ha avuto anche un colloquio privato con l’arcivescovo mons. Antonio Mattiazzo. Quali sono stati gli spunti del vostro confronto?
“Per prima cosa ho ringraziato il vescovo per l’accoglienza data ai fedeli ucraini, per aver assegnato loro una chiesa in città in cui potersi ritrovare a pregare e anche per il sostegno offerto ai sacerdoti che si sono succeduti alla guida della comunità. Anche il suo incontro con i fedeli durante la visita pastorale è stato un gesto importante di accoglienza. È emersa la necessità di curare la catechesi e la formazione dei fedeli: non va dimenticato che spesso manca persino una formazione cristiana di base. Infatti, prima dell’indipendenza dall’Unione sovietica, la fede era ostacolata, perseguitata, costretta a vivere clandestinamente o tramandata solo attraverso i familiari, scontrandosi pubblicamente con la forte propaganda ateistica. Nella confessione molte persone immigrate mi raccontano di aver trovato la fede in Italia, oppure tante altre qui hanno avuto l’occasione per approfondirla. È nostro compito quindi coltivare la loro fede e aiutare ciascuno a farla crescere”.
Come spiegare ai fedeli italiani la necessità e la specificità della presenza della comunità cristiana ucraina?
“La chiesa greco-cattolica ha diritto proprio, nonché norme, tradizioni e riti specifici che in più occasioni anche il papa ha stabilito che devono essere preservati. È come se la chiesa di rito latino e quella di rito bizantino fossero due polmoni all’interno dell’unico corpo che è la chiesa cattolica: condividono la stessa fede celebrandola in maniere diverse; per citare un solo punto la prima pone l’accento sulla Parola, la seconda sul mistero. La comunità cristiana ucraina nasce proprio per offrire agli immigrati la possibilità di vivere ed essere accompagnati nella fede secondo la consuetudine compresa e assimilata. L’obiettivo non è la ghettizzazione di questi fedeli, ma la loro integrazione all’interno della società e della chiesa locale, con cui la comunità ucraina è invitata a stabilire un rapporto dialogante, ma senza puntare all’assimilazione”. (D. Meneghello – La Difesa del Popolo)