La chiesa locale e l’accoglienza agli immigrati

I 60 sacerdoti che seguono, nelle 15 diocesi del Triveneto, gli stranieri cattolici si sono ritrovati a Zelarino per formarsi

Venezia – Nuova tappa dell’impegno pastorale delle diocesi trivenete è stato “A servizio della fede dei fratelli immigrati”, l’incontro di formazione che si è svolto mercoledì 2 marzo a Zelarino in casa cardinale Urbani. Vi hanno partecipato i direttori degli uffici diocesani Migrantes delle quindici diocesi del Triveneto, tra cui il responsabile regionale, mons. Ferruccio Sant della diocesi di Vittorio Veneto, e oltre sessanta dei sacerdoti, italiani o stranieri, che seguono e sostengono gli immigrati cattolici nelle diocesi.

 
Ecco, ad esempio, una delle questioni trattate: come vanno chiamati, questi sacerdoti? Meglio evitare, ha sottolineato l’assemblea, di chiamarli “etnici”, o parlare di “comunità etniche”. Per molti infatti l’aggettivo ha una connotazione dispregiativa.
È stata evidenziata la necessità di trovare un’omogeneità nell’inquadramento di questi sacerdoti, e in particolare nelle convenzioni che regolano i rapporti tra la diocesi da cui il presbitero proviene e quella del Triveneto che lo accoglie. La presenza per motivi di studio, anche se accompagnata dal servizio pastorale, è diversa da quella specifica per il servizio ai connazionali.
Ma il dibattito di Zelarino ha anche affrontato, naturalmente, temi di più ampio respiro. A farvi da introduzione un intervento scritto di mons. Adriano Tessarollo, vescovo di Chioggia, delegato della Conferenza episcopale triveneta alla commissione Migrantes Triveneto. Il vescovo ha sottolineato che, nel segno dell’universalità, “a ogni persona di lingua e cultura diversa che giunge nel suo territorio la chiesa locale offre la condivisione del vangelo”. Ma è sufficiente garantire le messe nelle lingue degli immigrati? Probabilmente, ha rilevato mons. Tessarollo, “c’è bisogno di offrire occasioni di formazione per gli adulti, di maggiore attenzione per l’iniziazione alla fede e l’integrazione nella comunità locale degli immigrati e dei loro figli”.
Dalla riflessione sul servizio agli immigrati delle chiese locali è emerso che uno dei problemi aperti è la dispersione: gli immigrati cattolici vivono anche molto lontani tra loro, e lontani dal sacerdote o dal centro di pastorale a loro dedicati. Si evidenziano anche difficoltà nel dialogo tra sacerdoti incaricati e parroci, anche quando sono le parrocchie stesse a ospitare le messe per le comunità straniere. L’attività di pastorale rivolta agli immigrati cattolici, ricorda mons. Tessarollo, serve alla tutela dell’identità della comunità straniera, ma anche alla sua integrazione nella comunità locale. Integrazione, quindi dialogo tra due parti, più che assimilazione e la partecipazione degli stranieri ai loro centri pastorali non è “concorrenza al diritto e dovere del parroco locale di interessarsi degli immigrati residenti nella sua parrocchia”. Per altro verso, aiutare gli immigrati cattolici a vivere la fede secondo le proprie tradizioni serve a evitare fenomeni come il passaggio alle sette.
Al centro anche la formazione da offrire ai sacerdoti al servizio delle comunità immigrate, con una collaborazione tra chiesa italiana e chiesa diocesana. Manca spesso anche una formazione nella chiesa d’origine del sacerdote. È stata evidenziata la necessità di formare dei leader nelle comunità degli immigrati cattolici, ma pure segnalando l’opportunità che gli immigrati attingano, per la loro formazione, alle strutture diocesane, come centri di pastorale giovanile o familiare. L’assemblea ha deciso di ripetere ogni anno un incontro come questo, “sia per continuare il dialogo aperto sia per poter crescere insieme così da meglio servire i credenti stranieri presenti nel nostro territorio”. I partecipanti di Zelarino, che dell’incontro con lo straniero fanno la loro missione pastorale, sono voluti intervenire anche con un comunicato sulle vicende in corso in Maghreb e Medio Oriente e sulla possibili conseguenze per il nostro paese.
“La situazione attuale di emergenza – scrivono i direttori Migrantes e i sacerdoti che seguono gli stranieri – richiede attenzione e disponibilità ad andare incontro alle sofferenze di molte persone che vogliono fuggire dalle violenze”.
Quanto al possibile loro arrivo in Italia e anche a Nordest, “auspichiamo che non venga meno l’ospitalità che ha sempre contraddistinto la nostra terra e di cui la nostra gente ha goduto presso altri paesi. Riteniamo che il Nordest, seppur in sofferenza per la crisi economica attuale, possa offrire ancora condizioni per accogliere eventuali persone che le autorità vorranno inviare. I sacerdoti firmatari si impegnano a sensibilizzare ulteriormente le comunità cristiane per uno stile di accoglienza, prossimità e mediazione, che fanno parte del nostro vangelo, anche perché questo atteggiamento di ospitalità può essere un contributo ed un invito a tutti a essere attenti verso le trasformazioni in atto e le richieste di chi le sta vivendo”. (La Difesa del Popolo)