New York 25 marzo 1911 l’altra data che cambiò l’America

La data ricorda una delle più gravi tragedie avvenute a Manhattan, quando un incendio in una famosa camiceria uccise 146 persone: di esse 123 erano donne, 39 le italiane. Un dramma che ha inquietanti analogie con l’11 settembre 2001.

New York – Nell’arco di pochi anni ricorrono gli anniversari di tre delle maggiori tragedie che hanno colpito l’emigrazione italiana. La storia dell’altra Italia è anche storia di lacrime, sudore e sangue, nata dal bisogno e dalla povertà. Una storia costellata di sogni e fede, ma anche di drammi e sconfitte. E i successi furono spesso duri traguardi, conquistati con coraggio e caparbietà, giorno dopo giorno, generazione dopo generazione.
Nel 2007 si è celebrato il centenario della sciagura di Monongah, sito minerario nel West Virginia, dove tra le 362 vittime “ufficiali”, quelle di origine italiana sono state 171. L’ultimo, il terzo in ordine di tempo, verrà celebrato nel 2013 anno della tragedia mineraria di Dawson (New Mexico), costato 263 vittime, di cui 133 italiane.
Ma il centenario che si celebrerà quest’anno ha un grandissimo valore simbolico, per il luogo e il modo in cui avvenne la tragedia. Il 25 marzo 1911 un incendio divampò nella Triangle Shirtwaist Factory a Manhattan: 146 morti, di cui 123 donne, tra quest’ultime 39 italiane. Una sciagura che “cambiò” l’America, un tributo di sangue che portò alle leggi sulla sicurezza del posto di lavoro e contro lo sfruttamento. Un centenario che non ha un comitato. Celebrato con l’oblio invece che con la memoria. 
Il racconto dei fatti
La New York dei primi del ‘900 è da decenni approdo per milioni di immigrati, sterminata riserva di manodopera da destinare a una nazione la cui crescita sembra infinita. In essa ci vivono più italiani che a Roma o Napoli. La sciagura accade in questa New York, come un fulmine a ciel sereno ed è considerata la tragedia più grave avvenuta prima dell’11 settembre 2001. Siamo a Manhattan, negli ultimi tre piani di un edificio di dieci, all’angolo di Washington Place e Greene Street. Quei piani sono occupati dalla Triangle Shirtwaist, leader nella produzione di camicette. Se ne producono anche 2000 al giorno. New York in quel periodo conta circa 500 camicerie e un’operaia prende tra i 5 e i 7 dollari alla settimana. Molto meno se si tratta di una ragazzina tra i dodici e i quindici anni. Le ore di lavoro al giorno variano dalle 12 alle 14. In alcuni casi anche 17.
E chi non lavora la domenica o il sabato, il lunedì è licenziato. Più di 500 operaie e operai sottopagati, costretti in spazi ridottissimi tra cassoni colmi di bluse, tavoli con stoffe ammonticchiate, cotone, ritagli, macchine per cucire, sono sorpresi dalle fiamme. L’incendio scoppia alcuni minuti prima del suono della sirena, che segna la fine dell’ennesima massacrante settimana di lavoro. Sono le 16 e 45 ed è giorno di paga. Il fuoco avvampa per neppure mezz’ora, originato forse dal mozzicone d’una sigaretta o da una scintilla. Le porte sono chiuse dall’esterno per evitare furti e pause. Non esiste un sistema antincendio. Operaie e operai della Triangle, intrappolati tra l’ottavo e il decimo piano, cercano in preda al panico di scampare al fumo e alle fiamme scendendo dalle strette scale esterne, che però si piegano e cedono per il peso e il calore. Decine di vittime precipitano sul selciato sottostante. Altri s’accalcano disperati contro le porte sbarrate dall’esterno. Dalle finestre della Triangle s’affacciano donne urlanti e disperate. Salgono sui davanzali e si gettano nel vuoto, in un tentativo disperato di salvezza. Capelli e vestiti di molti sono in fiamme. Le reti e i teloni tesi per il salvataggio vengono sfondati dal peso dei corpi che precipitano. C’è chi vede due giovani donne gettarsi nel vuoto mano nella mano. Altre piombano nella tromba dell’ascensore e del montacarichi. L’interno della camiceria è un inferno. Solo chi riesce a raggiungere il decimo piano, dove sono situati uffici, showroom e spedizione e sale sul tetto – dove si trovano anche i due proprietari Max Blanck e Isaac Harris – riesce a salvarsi.
In pochi minuti muoiono 146 persone. Tra esse le 39 italiane provengono dalla Sicilia, dalla Campania e dalla Lucania. I pompieri della metropoli americana, pur abituati agli incendi, si trovano ad affrontare una situazione difficilissima. Arrivati sul luogo, le loro scale raggiungono solo il settimo piano, le operazioni sono frenate dalle decine di corpi che precipitano dall’edificio. Le salme, dapprima allineate sui marciapiedi, verranno raccolte in semplici bare e identificate grazie a una scarpa carbonizzata, un bracciale, un dente, un anellino. 14, 16, 20 anni l’età di molte vittime.
Nei paraggi si sono radunate quasi 100 mila persone. A notte fonda migliaia di persone sono ancora attorno al fabbricato dove ha sede la Triangle Shirtwaist Factory.
Tra gli eroi di quella tragedia vanno ricordati Joseph Zito e Gaspar Mortillalo, addetti all’ascensore e al montacarichi, i quali riuscirono a sottrarre alle fiamme circa 150 persone.
La manodopera, costituita nella maggior parte da ragazze e donne italiane o ebree russo-polacche, era stata reclutata tra le migliaia di immigrati approdati alla Bowery e Little Italy. Quasi nessuno parlava inglese e la misera paga serviva per sopravvivere e coltivare il sogno di trasferirsi altrove.
Il sacrificio delle italiane
Tra le operaie italiane Michela Marciano, originaria di Striano, paesino in provincia di Napoli, emigrata negli Stati Uniti dopo l’eruzione del Vesuvio del 1906. Ma sarà proprio il fuoco ad ucciderla e a mettere fine nel peggiore dei modi al sogno di una vita migliore, per la quale aveva accettato tanti sacrifici, il basso salario e i turni massacranti alla Triangle. Aveva poco più di vent’anni.
Tra le vittime di origine siciliana ci sono Caterina Maltese (di anni 38) e le figlie Lucia (20 anni) e Rosalia, di soli 14 anni. Sarà Serafino Maltese, marito di Caterina e padre di Lucia e Rosalia, a riconoscere i corpi straziati delle familiari. Egli era giunto a New York nel maggio del 1906. Circa un anno dopo lo avevano raggiunto la moglie e i cinque figli: Lucia, Vito, Rosaria, Maria e Paolo. Dopo la tragedia, Serafino Maltese deciderà di rimanere nel Nuovo Mondo. Uno dei suoi nipoti, Seraphin Maltese, diventerà senatore. Un altro, Vincent Maltese, sarà presidente della Triangle Shirtwaist Fire Memorial Society, un’istituzione in memoria delle vittime.
Il processo che seguì assolse i proprietari Isaac Harris e Max Blanck, i re della camicetta. L’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni vittima, mentre le famiglie furono risarcite con 75 dollari per ogni familiare deceduto. Le proteste per questo ennesimo dramma avviarono negli Stati Uniti una nuova era, che portò alle direttive antincendio e alle regole sulle condizioni e la sicurezza sul posto di lavoro.
Oggi l’edificio all’angolo di Washington Place e Greene Street è occupato dalla New York University. Nel 1961, a cinquant’anni dalla tragedia, l’International Ladies’ Garment Workers Union fece collocare una lastra bronzea a ricordo dei morti del rogo del 25 marzo 1911.
Il centenario della tragedia della Triangle ci permette di strappare dall’oblio chi varcò e varca «i mari per cercar del pane», onorando chi si prodigò e immolò per un futuro migliore. Il ricordo di quell’evento è anche un modo concreto di celebrare l’8 marzo Giornata Internazionale della Donna (8 marzo), perché molte furono le donne in emigrazione, italiane e non, che contribuirono con la loro lotta spesso silenziosa e il loro sacrificio a migliorare le condizioni di vita e di lavoro per tutti. (Luigi Rossi – Messaggero di Sant’Antonio)