I migranti, portatori dell’annuncio

Concluso ieri a Roma l’incontro dei delegati e coordinatori nazionali delle MCI in Europa

Roma – Nelle terre dove sono approdati all’inizio del Novecento con «il ricordo struggente di una patria abbandonata per forze maggiori», gli emigrati italiani hanno offerto «il contributo del loro lavoro, ma principalmente dei contenuti di umanità e di fede». E anche ora possono giocare un ruolo decisivo. È questa per l’arcivescovo di Capua, Bruno Schettino, Presidente della Commissione Episcopale per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, la sfida per le comunità italiane all’estero. «Gli immigrati hanno portato il catechismo, la devozione mariana e alla Croce», una fede popolare che è stata «un collante sociale per unire le famiglie, per ricordare gli antenati alle nuove generazioni», ha detto aprendo a Roma l’incontro dei delegati e coordinatori nazionali delle Missioni cattoliche in Europa e dei direttori regionali Migrantes . «Oggi nella maggiore libertà sociale, nella facilitazione dei rapporti umani e nelle comunicazioni, urge rifondare la fede dei credenti in una nuova evangelizzazione», ha spiegato Schettino.

 
«La nuova mobilità presenta domande di senso profonde ed è importante rileggere alcuni aspetti dell’incontro con i migranti nell’ottica di una fede credibile», ha sottolineato da parte sua monsignor Giancarlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes . Bisogna cioè «rinnovare lo spirito missionario della Chiesa in territori di antica tradizione cristiana dove il secolarismo ha mietuto le sue vittime», ha confermato monsignor Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Quella che viviamo, ha osservato, «è un’epoca di transizione e il rinchiuderci nelle nostre realtà può consolare, ma rischia di renderci ininfluenti ». I cristiani invece sono chiamati «a parlare di speranza» e «a dare le ragioni della propria fede nell’incontro interpersonale». Per Fisichella, infatti, occorre «entrare nelle culture, capirle e avere la forza di orientarle». Soprattutto mentre è in atto «il tentativo culturale di relegare il fenomeno religioso nel privato e di minare il tessuto storico del cristianesimo nel mondo».
«L’uomo di oggi – ha rilevato il presidente del dicastero vaticano – vive di profonda paura ed è disposto a tollerare l’ingiustizia sociale pur di salvaguardare i presupposti diritti individuali». E così, ad esempio, di fronte ai flussi migratori provenienti dalla Libia e dai Paesi arabi, sembra che «più che per il destino dei profughi, la gente si preoccupi per le ricadute che gli sbarchi potrebbero avere sulla propria vita». Se infatti «fino a venti anni fa c’era una maggiore sensibilità e solidarietà», nella società odierna prevale «l’individualismo e un diffuso narcisismo» con cui la nuova evangelizzazione deve confrontarsi. Nell’azione pastorale, ha precisato Fisichella, è necessario «continuare a costruire sui tre pilastri dell’annuncio, della liturgia e della testimonianza della carità». Sull’esempio di santa Francesca Cabrini, la missionaria italiana che tanto aiutò i suoi connazionali negli Stati Uniti.
«Era – ha concluso – una tradizionalista molto lungimirante che aveva capito che l’identità non doveva essere persa, ma serviva per integrarsi pienamente nel Paese in cui ci si trovava». (S. CAREDDU – AVVENIRE)