Mons. Di Tora: sicurezza e integrazione

Il presule, membro della Commissione CEI per le Migrazioni e delegato Migrantes della Conferenza Episcopale del Lazio commenta l’accoglienza a Roma e gli sbarchi degli immigrati

Roma – I confini del Messico e l’isola di Lampedusa, i campi Rom e le minoranze etniche in Asia, le persecuzioni religiose e i profughi africani. «Situazioni apparentemente differenti ma legate da un unico grande filo conduttore, la mobilità umana. Un fenomeno che Papa Benedetto ha definito come la ricerca di un bene comune che abbraccia l’intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista». A commentare è monsignor Guerino Di Tora, Vescovo ausiliare per il settore nord, nuovo membro del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti. Un incarico che va ad aggiungersi a quello di rappresentante della Commissione migrazioni della CEI e di incaricato Migrantes della Conferenza Episcopale del Lazio.

 
«Esperienze maturate per 12 anni nel lavoro del Dossier Statistico Caritas/Migrantes – spiega monsignor Di Tora – che, insieme ai confratelli, mi permettono ora di vedere concretamente l’attenzione della Chiesa nel promuovere il migrante, i suoi diritti, in quanto uomo e icona di Cristo». Secondo il vescovo, per rendersi conto delle sfide che ci attendono «non occorre però guardare molto lontano». A Roma, alla commozione e allo sgomento per la scomparsa dei quattro bimbi Rom è seguita un’ondata di proteste, con i cittadini in strada contro i possibili insediamenti di tendopoli o campi di accoglienza. «È la paura, il timore, e anche il senso di sfiducia per tante promesse disattese. Quelle di insediamenti “temporanei” che rimanevano per anni, campi controllati che venivano abbandonati a loro stessi». Occorre andare oltre l’emergenza, «coinvolgere quanto più possibile le istituzioni, i cittadini e tutti gli organismi di rappresentanza per arrivare a una programmazione condivisa, a una presa in carico di queste persone. La priorità di ogni politica, prima degli interventi, dovrebbe essere quella di sensibilizzare e rendere partecipi i cittadini nella salvaguardia della dignità di uomini, donne e bambini che vivono in condizioni inimmaginabili. Solo così il dolore per la morte dei quattro bambini potrà trasformarsi in politiche attente e partecipate».
Nella cronaca di questi giorni anche gli sbarchi a Lampedusa, che ripropongono un problema che sembrava superato. Si continua a vedere l’immigrazione come un’emergenza. «Si contrappone il tema della sicurezza a quello dell’integrazione, senza capire che solo con vere politiche sociali, di accoglienza e inserimento, si avrà anche la sicurezza», dichiara il vescovo. Agli sbarchi sulle coste siciliane, che negli anni passati hanno riguardato soprattutto persone in fuga da guerre e persecuzioni, «si è tentato di mettere un argine con il trattato italo-libico che consentiva i respingimenti in mare. Si è costruito un muro che in questi giorni si sta sfaldando, senza però intaccare le cause strutturali che sono alla base di questi fenomeni: la povertà, i conflitti, l’emarginazione sociale, la mancanza di democrazia».
Fra i fattori determinanti per contribuire all’inclusione sociale monsignor Di Tora indica senz’altro la religione, nonostante la dimensione spirituale venga considerata spesso un pericolo nelle società che accolgono i migranti. La libertà religiosa, afferma, è invece «un elemento imprescindibile, previsto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e per questo alla base delle moderne società democratiche. Questo non vuol dire che problemi non ci siano, ma il dialogo è l’unica via percorribile. Giustizia, solidarietà, rispetto dell’uomo, sono il terreno sul quale le grandi religioni possono incontrarsi e operare insieme, magari proprio iniziando nel promuovere i diritti degli emarginati». (C. Glori – Roma Sette)