Emergenza Lampedusa

Diario di viaggio

Lampedusa – 20-21/02/2011 – Dall’alba al tramonto: nuovi sbarchi, più di duecento migranti. Ai cancelli del molo dove le forze dell’ordine accolgono i barconi c’è anche Anìs. È un ragazzone di ventotto anni che attende il fratello minore: Ali. Anìs è arrivato da un paio di giorni. Il ragazzo è insieme ad un amico conosciuto al CSPA: si chiama Sàlim. Quest’ultimo è seduto, rivolto verso il mare, su un muricciolo. Sembra un po’ schivo. Forse diffidente. Non partecipa alle chiacchiere. Di tanto in tanto, tra una battuta e un’altra, Salìm si gira verso Anìs e accenna un sorriso. Un sorriso mai pieno però: sempre celato dalle mani o dalle labbra. Ha un qualcosa di misterioso, di nascosto. Lo stuzzico un pò: gli chiedo come va. Mi risponde “Lebès”, ovvero “non c’è male”. Ma ancora un sorriso a metà. Chiedo ad Anìs perché il suo amico nasconda la bocca. Anìs parla con lui e quest’ultimo mi fa una smorfia. Ecco la risposta: Salìm non ha alcuni denti anteriori e si vergogna perciò a mostrare il sorriso. Gli chiedo se sia stato durante il viaggio. Mi dice di no, scuotendo la testa. Sono i denti pagati per la libertà. Nel corso di una manifestazione a Tunisi contro il regime di Ben Alì infatti al grido “hurriya” (libertà) la polizia lo ha sfregiato. Salìm ha appena vent’anni. A due passi c’è anche un trentenne paffutello, ben vestito. Gli chiedo se sia il mediatore linguistico-culturale del centro di prima accoglienza. La risposta è no. È un franco-tunisino, si chiama Fuad. È arrivato oggi a Lampedusa. Anche lui sta cercando il fratello: è partito la settimana scorsa da Zerzis, ma non ha ancora chiamato la famiglia per comunicare il suo arrivo sulle coste siciliane. Il ragazzo ha fatto perdere le sue tracce. Così Fuad non ci ha pensato due volte: ha preso l’aereo ed è venuto a cercare il fratello a Lampedusa: l’imbuto tra Africa e Europa. Come Anìs neanche Fuad ride. Quest’ultimo spera soltanto che il vociferare riguardo le barche crivellate dalla polizia tunisina, a poche miglia dalla costa di Zerzis, non sia una squallida verità. 
22-23/02/2011 – La fiumara umana non si arresta ed il mare sembra volerla divorare. Trentotto uomini, tra pioggia scrosciante e forza cinque, sono sfuggiti ad un crudo destino. È stato un peschereccio di Mazara del Vallo, una cittadina marinara della zona occidentale della Sicilia, a soccorrere i migranti tunisini. L’imbarcazione di quest’ultimi è stata affiancata e trasportata a bordo del natante Chiaraluna, ieri alle ore 14, a circa 70 miglia dalle coste siciliane. A guidare l’equipaggio di “pescatori di uomini” è il comandante Vito Iodato, un uomo tutto d’un pezzo ma con occhi lucidi di commozione. “Li abbiamo trovati su una barchetta di sei metri bagnati e impauriti. Li abbiamo accolti a bordo uno ad uno e gli abbiamo dato cibo e vestiti”- racconta il capitano – “se li avessimo lasciati in mare è sicuro che non sarebbero rimasti vivi”. Vito Iodato è di poche parole eppure ha voglia di raccontare, perché il limes tra vita e morte non conosce indifferenza. Il capitano è commosso. E scruta, dall’alto della sua cabina, i passi dei “suoi” migranti che toccano terra. Vito Iodato ha lo sguardo di chi è certo di aver fatto la scelta giusta, il capitano non vacilla come una nave in preda a tempesta. Nei suoi occhi oggi c’è un cielo sereno, nonostante il vento di ponente renda la pioggia come frusta. “È un’emozione che non si può raccontare” – confida il capitano scrutando quelle anime che sognano un nuovo presente. E scesi dalla barca i 38 migranti salgono sul bus scortati dalla polizia: direzione centro di soccorso e prima accoglienza. Chissà che ne farà l’Europa di queste vite strappate al mare.    (D.M)