Italiani nel mondo: un convegno a Bruxelles

Presentato il Rapporto “Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes

Bruxelles – Ha ancora un senso discutere sulla situazione degli italiani nel mondo? Di fronte alla sempre più massiccia presenza in Europa di immigrati provenienti da altri paesi extraeuropei o extra-Unione europea, presenza che suscita preoccupazione in molti, è una domanda che puo’ sembrare giustificata. Ad essa ha cercato di rispondere il Convegno su “Fenomeno delle migrazioni e integrazione culturale”, organizzato dall’Ente Bergamaschi nel mondo e dal neocostituito circolo di Bruxelles, nella sede del Comitato economico e sociale dell’UE (CESE), e dedicato al Rapporto “Italiani nel mondo 2010” della Fondazione Migrantes.Una risposta si trova già nell’affermazione che fa da introduzione al rapporto stesso: “l’emigrazione italiana non è una realtà morta: basta solo riscoprirla”. E di farla riscoprire si sono incaricati i vari rappresentanti dei circoli che si sono succeduti al microfono. Un tema è sembrato prevalere su tutti gli altri: la sostanziale differenza fra la vecchia emigrazione italiana, di quelli che andavano all’estero per bisogno, per sfuggire a condizioni di vita difficili, e la nuova emigrazione, costituita da giovani che si recano dove ci sono maggiori opportunità di carriera e di successo, e non sono legati a un determinato paese.Ha introdotto il dibattito Franco Cattaneo, vice-direttore del quotidiano “L’eco di Bergamo”, che ha scusato l’assenza del presidente del CESE, Nilsson, e dei due europarlamentari Crocetta e Salvini, assenti anche per gli impegni legati alla crisi determinata dall’arrivo di stranieri a Lampedusa. Al posto dei due parlamentari sono intervenuti alcuni collaboratori.Il compito di richiamare l’importanza delle origini è toccato in primo luogo a Santo Locatelli, presidente dell’Ente Bergamaschi nel mondo. Egli ha ricordato che i bergamaschi nel mondo sono oltre 50 mila, che hanno costituito 33 circoli, di cui l’ultimo è appunto quello di Bruxelles. L’Ente esiste da 44 anni, come espressione dell’emigrazione del dopoguerra, causata da uno stato di necessità e determinante anche per l’economia italiana, con il flusso di rimesse di denaro che ha prodotto. Conoscere le proprie radici, anche attraverso un lavoro di ricerca su di esse, e non dimenticare la propria lingua e la propria cultura, sono essenziali per gli emigrati delle vecchie generazioni, ma anche per i loro figli e nipoti, ormai stabilmente residenti lontano dalla patria.Il docente ha sottolineato con orgoglio che in occasione dei festeggiamenti di quest’anno per i 150 anni dell’unità d’Italia si deve celebrare anche la partecipazione dei bergamaschi all’epopea garibaldina, perchè sui mille protagonisti ben 180 erano bergamaschi, tra cui cinque provenienti da un solo paese, Zogno. Egli ha poi concluso ricordando il fondamentale ruolo della Chiesa nel tenere insieme gli emigrati e mantenere il loro legame con le tradizioni e i valori delle loro origini.Antonello Pezzini, membro del CESE come rappresentante dei datori di lavoro (Confindustria), ha illustrato il ruolo di questa Istituzione comunitaria per l’integrazione e i diritti fondamentali degli immigrati. E’ essenziale non lasciare al caso questo fenomeno, ma regolarlo con norme non improvvisate, tenendo conto del fatto che il futuro dipenderà dal lavoro di oggi.L’intervento del direttore dell’Ente Bergamaschi nel mondo, Massimo Fabretti, ha fornito dei dati statistici interessanti sulla presenza della comunità bergamasca sia in Belgio (6 mila iscritti all’AIRE), sia in altri paesi europei, come la Svizzera (7 mila). Gli emigrati italiani in tutto il mondo hanno sempre rispettato le leggi del paese dove si recavano.Sono seguite poi le testimonianze dei rappresentanti della prima generazioni di emigrati bergamaschi. Uno dei più commoventi per passione e per calore è stato quello di Giovanni Battista Bacis, presidente del circolo di La Louvière, costituito ben 43 anni fa. Egli, arrivato in Belgio nel 1946 per lavorare nella siderurgia, proveniente dalla Dalmine: ha ricordato come allora i contratti di lavoro venivano stipulati tra le aziende italiane, per cui i lavoratori del nord Italia lavoravano nelle aziende corrispondenti belghe, mentre quelli provenienti dal sud, in genere meno qualificati, trovavano lavoro nelle miniere. E’ stato facile per questi Bergamaschi della prima ora inserirsi nel mondo del lavoro belga, senza grandi screzi, tanto da diventare poi dei capi reparto e dei responsabili in fabbrica molto stimati. La creazione del circolo dei Bergamaschi ha favorito anche l’integrazione, in quanto come garanti figuravano dei belgi e questo ha facilitato molto i contatti. Il vecchio emigrato, sempre lucido e vigoroso, ha letto poi una sua poesia in dialetto, la partenza del “poer marter”, cioè del poveraccio, dal paese, tra lo strazio della madre e dei parenti, verso paesi ignoti e lontani. Ha concluso poi, tra gli applausi, col grido: viva l’Italia, viva Bergamo, viva il Belgio.Un altro rappresentante della vecchia emigrazione, il presidente del circolo di Liegi, Paride Fusarri, circolo fondato nel 1970, ha ricordato la funzione importantissima di tale costituzione, essenziale per ritrovarsi insieme, parlare la propria lingua e cantare, e ha racccontato episodi di altri tempi, come quello di sua madre che andando nei negozi doveva presentare dei barattoli vuoti per far capire cosa voleva comprare, dato che non conosceva una parola della lingua del posto. Adesso l’emigrazione italiana è ben diversa, la gioventù, ha sottolineato con rammarico, non partecipa più, i figli della terza o quarta generazione si considerano belgi a tutti gli effetti, solo i vecchi pensionati che non tornano in Italia hanno mantenuto il legame con il paese.Il presidente del circolo di Bruxelles, Mauro Rota, originario di Clusone, imprenditore, ha invece voluto mostrare la faccia della nuova emigrazione, l’evoluzione di questa nell’ambito di una nuova mobilità, legata a studi, turismo, opportunità nuove di lavoro. Egli ha detto di rappresentare un ponte tra le due anime dell’emigrazione, quella vecchia e quella nuova, per cercare, nonostante la crisi dell’asociazionismo, di mantenere il concetto di identità, e di creare un’integrazione professionale, locale e anche internazionale, con un’apertura verso il globale. Il neocircolo di Bruxelles vuole costituire un progetto pilota, per cercare di avvicinare anche i giovani, spesso in transito o con permanenze di breve durata, e superare la diversità rispetto alla vecchia emigrazione.Mons. Battista Bettoni, Delegato delle Missioni Cattoliche Italiane del Benelux, anche lui bergamasco di Vigolo, ha tracciato una storia delle missioni italiane, fin dal lontano 1920 in Svizzera e dal 1925 in Belgio. In questo paese vi sono attualmente tra 220 e 280 mila italiani (le statistiche variano a seconda delle fonti), i missionari sono 11 per 25 comunità, e la presenza dei preti bergamaschi (quattro) è sempre preminente. Egli ha introdotto un concetto molto stimolante: esiste un rischio che gli i migranti italiani si chiudano in un ghetto, anche attraverso queste loro associazioni, escludendosi dal mondo belga? Oppure il fatto di mantenere la propria identità, le proprie radici permette poi loro di accostarsi all’ambiente locale più forti e consapevoli? E’ senz’altro così, perchè l’integrazione non deve significare colonizzazione; i momenti di cultura, il mantenere la lingua come strumento di comunione, permettono un’inserzione non in condizioni di inferiorità, ma a parità. Le missioni cattoliche sono un punto di ancoraggio per la mobilità attuale, per rafforzare i rapporti generazionali, e combattere la secolarizzazionee la laicizzazione sempre più diffuse, anzi diventate un credo da diffondere e propugnare. Anche tra gli immigrati questa scelta di vita diventa comune, perchè è la via più facile, legata ancora alle tradizioni ma completamente laica.La proiezione di un breve video ha introdotto la presentazione del Rapporto 2010 “Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes da parte di Delfina Licata, caporedattore del comitato di redazione. Gli interrogativi che ci pone nelle 500 pagine del Rapporto sono: l’emigrazione italiana è una risorsa o un peso? è un fenomeno del passato o ancora di attualità? Le dettagliate statistiche allegate mostrano che ci sono oltre quattro milioni di Italiani residenti all’estero, e che 400 mila si spostano ogni anno, mentre gli oriundi di origine italiana sono 60-80 milioni. E’ necessario guardare con occhi nuovi al fenomeno dell’emigrazione, studiarlo e fare opera di sensibilizzazione. I dati ufficiali sono carenti o contradittori, i redattori del rapporto devono ricorrere a fonti secondarie, oltre e quelle ufficiali (AIRE), anche per studiare la nuova emigrazione, ben diversa da quella del passato, più poliedrica e preparata. Gli scienziatii italiani operanti all’estero sono nuemrosi e molto apprezzati. In conclusione, l’emigrazione italiana è il passato, ma anche il presente, diverso ma non meno importante.
Ha concluso il dibattito don Domenico Locatelli, missionario italiano di Bruxelles, bergamasco anche lui (di Suisio), ha espresso la sua amarezza per l’accresciuta insensibilità e la poca visibilità del fenomeno migratorio italiano. E’ in atto un ripiegamento, una disaffezione e si tende a dimenticare le proprie radici. Stiamo trascurando la valorizzazione delle reti, la voglia di riuscire e di riscattarci. Bisogna conciliare la memoria con le novità, e rafforzare il concetto di solidarietà: l’Italia non è un museo da guardare da lontano, non è da abbandonare, ci deve essere una reciprocità sociale, attraverso aiuti e sostegni per il ritorno e per l’integrazione.Dopo un breve intervento del fiammingo padre Jan, missionario in Africa, che si è chiesto perchè i giovani non partecipano più e non sono più in comunione con la patria, il presidente Mauro Rota ha consegnato ufficialmente al presidente dell’Ente Bergamaschi lo statuto appena approvato del circolo di Bruxelles. (GLC)