Gli sbarchi scuotono l’UE

Un esame di coscienza è doveroso anche da parte dei governi nazionali

Bruxelles – Come sempre accade, l’improvviso “esplodere” di emergenze politiche, economiche, sociali, contribuisce a porre in primo piano problemi latenti, rimasti sotto traccia per lungo tempo, talvolta sottovalutati oppure semplicemente rimandati sine die. Così i tumulti popolari e i cambiamenti che stanno investendo il Nord Africa (ma anche l’Iran e altri Paesi asiatici) o il riacutizzarsi degli “sbarchi” di immigrati sulle coste meridionali del continente, rimettono al centro dell’attenzione le carenze, se non le assenze, di una vera politica euro mediterranea.

 
Certamente un rapporto rafforzato tra gli Stati UE, quelli balcanici, mediorientali e del Maghreb, non sarebbe la panacea a tutti i contrasti della regione, che comprendono – a secondo dei casi – la latitanza della democrazia, la negazione dei diritti umani, l’arretratezza economica e sociale, le spinte migratorie, le tensioni politiche, etniche e persino religiose, le minacce ambientali con ricadute dirette sulla qualità della vita (salute, acqua potabile, colture, inquinamento del mare…). In particolare sono la sponda sud del Mediterraneo e quella orientale (la Terra Santa) a porre in risalto questi nodi, variamente incrociati tra loro, in grado anche di alimentarsi reciprocamente. La lezione che emerge da Egitto, Tunisia e Algeria sottolinea, ad esempio, una compresenza di sistemi istituzionali lontani dagli standard democratici, ritardi sul versante dello sviluppo, povertà diffusa, difficile convivenza tra le diversità religiose: un pericoloso mix che può portare a rivolte di piazza, instabilità, pericolo di scivolamenti verso regimi autoritari o militari.
Benché la politica euro-mediterranea non si possa considerare una ricetta miracolosa, essa è però sempre parsa – sin dal suo esordio, con il Processo di Barcellona, nel 1995 – come la strada giusta per condividere questioni che toccano sia gli Stati nordafricani, sia quelli mediorientali sia quelli europei. In tal senso era stata presentata la nuova linea euromed sotto la presidenza semestrale francese dell’Unione nell’estate 2008. Il Presidente Nicolas Sarkozy aveva allora convinto i 27 che il Mediterraneo era un’area di prioritario interesse per tutta l’Unione. Il 13 e 14 luglio dello stesso anno 43 capi di Stato e di governo avevano dato vita alla “Unione per il Mediterraneo” allo scopo di “rilanciare gli sforzi per trasformare il Mediterraneo in uno spazio di pace, di democrazia, di cooperazione e di prosperità”. Nasceva una organizzazione internazionale nuova, transcontinentale, con tanto di priorità politiche e di “progetti concreti di dimensione regionale creatori di una solidarietà di fatto”, il tutto sotto una presidenza turnante, affidata allora, paradossalmente, oltre che a Sarkozy a Mohamed Hosni Mubarak, presidente egiziano oggi in fuga.
Da allora l’Unione per il Mediterraneo è rimasta lettera morta, evocata solo nel caso di emergenze come le rivolte nel Maghreb o gli ingressi di immigrati in Grecia (dalla Turchia), a Malta e in Italia (attraverso Libia e Tunisia), in Spagna (dal Marocco). L’inutile richiamo a una strategia euromed si accompagna in queste ore anche ai tardivi appelli affinché l’UE risolva i problemi delle pressioni migratorie verso le coste italiane. In realtà i governi europei hanno quasi sempre contrastato il fatto che l’Europa comunitaria si occupasse di migrazioni. Per due ragioni: anzitutto perché ciò appariva, soprattutto a talune forze politiche nazionaliste, come un’ulteriore “cessione di sovranità” a Bruxelles; in secondo luogo per paura di essere coinvolti sul piano della solidarietà e della reciprocità, nei problemi “altrui”.
Riguardo alle migrazioni ci sarebbe poi lo “Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia” da realizzare mediante il “Programma di Stoccolma” – varato dal Consiglio europeo del dicembre 2009 – concepito per garantire la “sicurezza” ai cittadini del vecchio continente e il controllo delle frontiere esterne (agenzia Frontex). “Occorre – stando al Programma di Stoccolma – che l’accesso all’Europa sia più efficiente per tutti coloro che devono entrare nell’UE per un interesse legittimo. L’Unione e i suoi Stati membri devono nel contempo garantire la sicurezza dei propri cittadini. Le politiche sulla gestione integrata delle frontiere e in materia di visti dovrebbero essere concepite in funzione di questi obiettivi”. In un anno qualche passo è stato compiuto, nonostante l’emergere di nuovi freni e ostacoli frapposti dalle capitali. Ora la Commissione Barroso conferma la disponibilità a intervenire sul fronte degli sbarchi di immigrati nel Sud europeo, ma è necessario dotare l’UE delle competenze, dei mezzi e delle risorse essenziali per farlo.
Si torna così alla necessità di una politica estera e di una politica migratoria che – come chiedono da tempo le Chiese europee mediante CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee) e COMECE (Commissione degli Episcopati UE) – sappiamo rispondere ai problemi e alle sfide poste da un mondo sempre più interdipendente, complesso e dinamico. (SIR Europa)