Padre Porfirio: il cappellano delle badanti ucraine

A colloquio con il sacerdote basiliano che si occupa dell’assistenza spirituale di queste lavoratrici.

Roma – È una chiesa piccola quella del monastero basiliano in Via San Giosafat all’Aventino. Eppure accoglie ogni domenica circa 600 badanti di origine ucraina, che lo hanno eletto a luogo di preghiera comune. Passano anche in mezzo alla settimana, la mattina o il pomeriggio, tra affanni, preoccupazioni e desiderio di fare comunione con Dio. Nel luogo di culto vi sono almeno tre sacerdoti; uno in particolare è il cappellano ufficiale di questo “movimento” di grazia, padre Porfirio Pedruche. Parla tre lingue e ne comprende otto. Per i suoi settant’anni, il 3 gennaio scorso, le ucraine gli hanno riservato una festa. Ordinato sacerdote nel 1967 nella città di Ivaì Paranà in Brasile, è in Italia dal 1962 e ricopre dal 1976 l’incarico di membro della curia generalizia dell’Ordine Basiliano di San Giosafat, svolgendo i compiti di segretario e consultore. È stato consultore nella Congregazione per le cause dei santi dal 2001 al 2007. Dal 1999 porta avanti questo insolito apostolato: l’assistenza spirituale alle badanti ucraine che lavorano e vivono a Roma e provincia.

 
Un servizio che gli offre l’opportunità di essere osservatore privilegiato dei problemi e difficoltà di questa categoria, a cui si fa riferimento sempre con molta superficialità. Oltre all’assistenza ad anziani e disabili difficilmente ci si domanda di quali siano le necessità, invece, di queste lavoratrici. «Quando accade loro qualche incidente domestico o per motivi di salute si fratturano un braccio o devono attraversare un periodo di convalescenza – spiega il sacerdote – non hanno alcun posto dove andare, poiché vivendo con gli anziani da assistere nella maggior parte dei casi, laddove sono esse stesse a stare male e a dover rimanere a riposo, si ritrovano senza un luogo di riferimento. Gli affitti sono alti per un’abitazione provvisoria, l’albergo costa e l’ospedale non può prolungare la permanenza».
 
Servirebbe dunque una casa temporanea?
Sì, per brevi periodi, per tamponare le emergenze che si presentano.
 
Succede che qualcuno si rivolga a lei per trovare una badante?
Sì, spesso, e io faccio da tramite. Ma occorrerebbe un’agenzia qualificata a svolgere questo lavoro, per i filippini c’è già, ma serve di crearne una anche per le donne di nazionalità ucraina.
 
Cosa le confidano?
I loro problemi, alcune volte non le pagano, soffrono poi la lontananza da casa, il 90% vorrebbe tornare al proprio Paese, quasi tutte sono sposate. In tante si ammalano; ultimamente riscontro spesso casi di depressione che le costringono in certe situazioni ad abbandonare anche il lavoro. Solo qualcuna subisce maltrattamenti da parte degli anziani assistiti, il resto sostiene che gli italiani sono molto socievoli, aperti, calorosi e che non saprebbero dire se essi riceverebbero la stessa accoglienza da loro in Ucraina.
 
Come vivono questo luogo religioso? Si è creato anche un ritrovo per altre attività?
Alcune la domenica si portano il pranzo e insieme lo consumano nel giardino; altre si scambiano informazioni. Infine abbiamo creato una piccola biblioteca da cui prendono libri da leggere nella loro lingua e qualche volta viene una sindacalista che le invita a sottoporsi ad esami medici per prevenire alcune patologie. (Romasette.it)