Salute: all’Umberto I il “medico di famiglia” per migranti

Si chiama “Roma capitale della salute” il nuovo progetto promosso da Ceis “Don Mario Picchi” insieme ad altre realtà: cinque mediatori culturali aiuteranno i medici a relazionarsi con i pazienti stranieri

Roma – Un progetto per migliorare l’accesso degli immigrati ai servizi offerti dal Policlinico Umberto I, e allo stesso tempo per favorire tra il personale sanitario la conoscenza delle loro culture d’origine: si chiama “Roma capitale della salute” e vede come capofila il Ceis “Don Mario Picchi”, con il “Servizio socio-assistenziale a persone affette da Aids e sindromi correlate”, insieme a Sos razzismo, Associazione culturale sviluppo Africa (Acsa) e Associazione studenti albanesi a Roma (Asar).

 
Finanziato dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni, in collaborazione con l’Ambulatorio gratuito per migranti dell’Umberto I, collocato al piano terra del terzo Padiglione (tel. 06/49979565, e-mail uffstran@policlinicoumberto1.it), “il progetto fornirà cinque mediatori culturali che aiuteranno l’équipe medica a relazionarsi con le differenti origini dei pazienti”, informa Katia Morelli, del servizio di assistenza domiciliare per sieropositivi attivato dal Ceis. Non solo: rivolta in modo particolare alle comunità bengalese, cinese, albanese, somala e latinoamericana di lingua spagnola, l’iniziativa prevede che i mediatori culturali “diffonderanno nei gruppi di appartenenza il materiale in lingua riguardante i servizi del Policlinico dedicati ai migranti, informazioni sulla prevenzione all’Aids e le modalità di accesso al test Hiv”.
I migranti potranno così affidarsi alle cure di una sorta di “medico di famiglia”, figura inesistente per chi non è in regola con il permesso di soggiorno. Da parte sua, il Centro italiano di solidarietà garantirà il suo apporto con il “Servizio socio-assistenziale a persone affette da Aids”, inaugurato nel ’99 per affiancare pazienti in stato di Aids conclamato o con grave immunodeficienza con assistenti sociali, operatori domiciliari, educatori, uno psicologo e un supervisore terapeutico, accompagnandoli nella vita quotidiana e sostenendoli nei momenti più critici della loro esistenza. Un percorso che coinvolge anche la famiglia di appartenenza e che, negli ultimi anni, comprende anche un approccio multiculturale: infatti il servizio si occupa di persone provenienti da Etiopia, Costa d’Avorio, Capo Verde, Mali, Zambia, Libia, Iran, Malesia e Perù. “L’apertura – conclude Morelli – ha determinato una differenziazione delle risposte sociali e psicologiche, per adattarle alle varie situazioni culturali, familiari ed economiche”.