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“Così costruiamo una Chiesa accogliente”

Verona – Anche un pranzo interetnico o un aiuto “matrimoniale” interreligioso segnano l’annuncio cristiano alle famiglie migranti. L’esperienza di chi vive a fianco degli immigrati fa capire che l’avvicinare chi viene da altrove attraverso lo spettro della sua famiglia costituisce un “meglio”, pastoralmente parlando. Lo confermano alcune esperienze di servizio e impegno raccolte tra i partecipanti del corso di formazione al Cum.

 
“Questi fratelli vengono in Italia per lavorare e noi dobbiamo annunciare loro Gesù. In fine dei conti la famiglia è proprio una Chiesa domestica” annota don Jean Pierre Mobongo, della Repubblica democratica del Congo, oggi vice parroco a Garessio, nella diocesi piemontese di Mondovì.
“I nostri fratelli che vengono da lontano hanno bisogno di una pastorale dell’integrazione. Lo vedo quando gioco a calcio con i ragazzi algerini o marocchini, oppure con le famiglie dell’Ecuador, con le quali mi trovo una volta al mese a pranzo: mangiamo, discutiamo dei loro problemi, la difficoltà dei permessi, le incomprensioni con gli italiani. Dai loro discorsi però viene fuori anche la loro voglia di partecipare alle attività della parrocchia. Spesso queste famiglie non riescono a sentirsi a casa propria nelle nostre comunità”. Della fecondità di essere straniero padre Mobongo ne sa qualcosa: “A Garessio io, il vice parroco, sono l’unico africano: anche solo il fatto che il prete sia uno straniero fa capire agli immigrati, soprattutto alle famiglie, che la Chiesa è aperta a tutti e nessuno le è straniero. Qualche giorno fa una donna romena ha bussato in canonica: ‘Che ci fa qui?’ mi ha chiesto. Quando le ho detto che ero il prete, era contentissima. Le famiglie immigrate devono capire che la Chiesa è una struttura apertissima, universale e mai chiusa”. Suor Anna Mondini, delle Piccole Sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld, opera a Vicenza in una casa di accoglienza per donne e bambini in difficoltà familiari.
“Di famiglie immigrate si parla pochissimo eppure sono terribilmente sole. Qui, per me, è centrale avere comunità accoglienti perché questi stranieri non vengono per mangiarci nel piatto bensì per lavorare e vivere qui”. Suor Mondini ha seguito di recente una coppia in difficoltà, macedone lei, marocchino lui, entrambi musulmani: “Erano in crisi per la violenza del marito. Il quale però, aiutato dalla sua comunità islamica e dai servizi sociali del Comune, ha compiuto un cammino di maturazione. Nel frattempo la moglie, indipendentemente, ha maturato una convinzione religiosa più forte. Ora sono ritornati a vivere insieme con i loro due bambini. Quando ha lasciato la nostra casa, quella donna ci ha scritto una bellissima lettera: ‘Voi siete stati la mia famiglia, sono venuta che ero ancora una bambina, ora me ne vado da donna matura’”. (L. Fazzini – Avvenire)