Famiglie immigrate, ricchezza per la fede

Al Cum di Verona un corso con l’Usmi e Migrantes

VERONA – “Entrare in casa dell’immigrato”. Per capirne problemi di vita e ricchezze esperienziali, potenzialità di fede e fatiche umane. E così annunciare “familiarmente” il Vangelo e accompagnare nella crescita religiosa umana non solo l’individuo ma l’intera famiglia migrante. Spesso l’impegno pastorale “in frontiera” si specializza e si frantuma: al Centro unitario missionario (Cum) di Verona, in questi giorni, si è vista all’opera quella “pastorale integrata” che da più parti viene invocata come la nuova prassi per operare nelle comunità cristiane.
Occasione ne è stata il corso di formazione “La famiglia migrante, una pro-vocazione nella Chiesa”, promosso dall’Unione Superiore Maggiori Italiane (USMI), dalla Fondazione Migrantes, l’ente della CEI per il servizio pastorale agli immigrati e dallo stesso Cum con sede nei dintorni di Verona. Questa settimana vi hanno partecipato una trentina di operatori, religiose, preti, laici, per metà italiani, l’altra metà provenienti da vari Paesi (Nigeria, Ucraina, Brasile), impegnati in servizi Migrantes diocesani, così come in strutture di accoglienza e responsabili dell’animazione parrocchiale.
 
“Primo obiettivo del nostro corso è stato quello di far maturare una coscienza precisa: accogliere la famiglia immigrata come qualcosa che nasce da un progetto, in questo caso quello della migrazione” spiega suor Cetra Modica, responsabile del settore mobilità etnica in seno all’USMI. “Per questo motivo le nostre parrocchie, e gli operatori che se ne occupano, devono accogliere le famiglie migranti in tutta la loro ricchezza: se questi fratelli e sorelle facevano i catechisti nei loro Paesi d’origine, perché non farlo anche qui? E se erano diacono permanenti? Membri dei consigli pastorali? Gli insegnanti possono dare una mano nei doposcuola”. Non solo: “La famiglia è ambito privilegiato di integrazione sociale” annota la religiosa scalabriniana. Anzi: “Spesso la forza d’animo dei migranti, di quanti sono lontani da un affetto, di chi affronta una separazione geografica dolorosa, costituisce una testimonianza preziosa per le nostre famiglie italiane, spesso deboli su questo fronte”.
Su questo insiste don Maurizio Cuccolo, Direttore del Centro unitario missionario: “I nostri vescovi ci hanno consegnato, per il prossimo decennio, il tema forte dell’educazione. Quindi in questi nostri incontri ci siamo chiesti quali difficoltà e quali occasioni hanno da offrirci le famiglie migranti. La loro difficoltà nel comunicare i valori che sentono propri deve interpellare le nostre comunità, e questo diventa una sfida e una provocazione. Penso sia opportuno pensare a un’alleanza educativa che saldi insieme famiglie italiane, quelle migranti e la comunità cristiana”.
Che la cura della famiglia “mista” sia un elemento non indifferente, soprattutto con gli occhi al futuro, è un dato evidenziato da don Giancarlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes, che ha ricordato i numeri del fenomeno. Tra il 1996 e il 2008 sono stati celebrati complessivamente 236.405 matrimoni misti, con una crescita del 148,6%.
Da parte sua don Paolo Gentili, Direttore dell’Ufficio CEI per la famiglia, ha sottolineate le sfide di un approccio metodologico “familiare” della pastorale, soprattutto quella rivolta ai migranti: “Non si può costruire su una con-fusione di culture la fratellanza con chi proviene da altri Paesi. Riappropriandoci delle radici cristiane che stanno all’origine della nostra cultura europea come fondamenti della nostra identità culturale possiamo rapportarci con accoglienza e rispetto verso coloro che vengono da altri Paesi”. In altre parole, per don Gentili, “se la nostra identità è chiara, allora ‘straniero’ non vorrà dire ‘estraneo’, ma fratello. Occorre riscoprire la figliolanza che sta alla base della fraternità universale a cui siamo chiamati”. (L. FAZZINI)