“Siamo tutti a lutto”

Il dolore nelle parole dei numerosi nomadi presenti nella Basilica di Santa Maria in Trastevere: “Abbiamo tutti il cuore spezzato. Una tragedia che si sarebbe potuta evitare”

Roma – Piazza Santa Maria in Trastevere ieri non aveva il consueto volto allegro e chiassoso ravvivato dal vociare dei turisti e dei romani a passeggio. Era un volto mesto. Nella chiesa che dà il nome alla piazza si è svolta alle 17.30 la veglia di preghiera diocesana per i quattro piccoli Rom morti nel rogo della loro baracca, a Tor Fiscale.

 
Cittadini comuni, rappresentati delle istituzioni locali e gruppi di nomadi cominciano ad arrivare numerosi, molto prima dell’orario d’inizio della celebrazione. Giungono anche i genitori dei quattro bimbi. Monsignor Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, li accoglie e li abbraccia accompagnandoli all’interno della chiesa. Poi, ancora molto scosso, fa una pausa e dice: “Crediamo e speriamo che in questa occasione dolorosa di preghiera in memoria dei 4 bambini morti nel rogo di pochi giorni fa, le intelligenze si possano mettere in moto. E un’epidemia di compassione onori la dignità di tutti i rom”. Anche perché “nella corresponsabilità di tutti si giunga a offrire soluzioni stabili perché i figli di questo popolo possano accedere a un futuro libero come noi auspichiamo” conclude monsignor Gnavi.
Di fronte al colonnato della chiesa alcuni rom hanno voglia di dire la loro. Una giovane nomade, che chiameremo Maria, sbotta: “Dicono che fanno e poi non fanno niente. Dopo si dimenticano”. Marko, invece, allarga le braccia: “Siamo tutti a lutto. Abbiamo il cuore spezzato”. Si rammarica e afferma: “Tutte cose per il governo che deve aprire il cuore: noi siamo europei”. Jon è il portavoce dei 300 rom dell’insediamento attrezzato di Camp River, ed è loquace e diretto: “Strilliamo da 40 anni e basta. Ma la situazione peggiora invece che migliorare. Ci troviamo sempre davanti a un muro. Un po’ di misure urgenti solo quando succede qualcosa e poi rimane tutto fermo”, si sfoga.
All’interno della basilica, lungo la navata centrale, nella penombra dei banchi, già siedono alcuni anziani. Sconsolati ma lucidi nell’analisi. Carmela afferma: “L’integrazione deve essere a lettere maiuscole. Non a parole. Tutti siamo responsabili ma la politica è sorda; ho fede, ma essa deve dare il buon esempio e certe cose non dovrebbero succedere: mi sembra il periodo della sofistica”. Tommaso, invece, commenta amaro: “Se non fosse capitata questa tragedia, nessuno avrebbe fatto niente”. E Pierina, che ogni lunedì prepara panini per i più sfortunati, chiude la discussione: “Davanti alla morte, comunque, non ci sono parole: dobbiamo tutti inginocchiarci”.
A qualche fila di banchi di distanza suor Mariela, invece, si sofferma sulle ragioni di una presenza doverosa. “Siamo qua – dice – anche per condividere e sentirci famiglia di Dio. Certo, va detto che tutto questo è conseguenza della povertà economica e di risorse”. Comunque, man mano che all’interno di Santa Maria in Trastevere la folla cresce, arrivano anche diversi turisti. Una ragazza ci chiede di spiegarle cosa sta succedendo. È straniera e non sa della tragedia. Quando comprende, smette di ammirare la volta della chiesa e si siede nelle ultime file. Nel silenzio del raccoglimento decide di partecipare al lutto.
La basilica è ormai colma. Hanno aperto pure le cappelle delle navate laterali per fare posto alla folla assiepata anche ai piedi dei confessionali. Nel brusio crescente delle attese, Paola, Magda e Daniela, della sezione femminile della Croce Rossa romana, dicono: “Siamo vicini al lutto della famiglia ma questa tragedia si sarebbe potuta evitare”.
Il cardinale vicario Agostino Vallini inizia la sua omelia. E in tanti, rimasti fuori, in piazza, davanti al portale della chiesa, seguono la celebrazione attraverso di un maxischermo. Alcuni passanti, curiosi, si avvicinano per capire. Si fermano ad ascoltare le parole del cardinale Vallini che invita “all’integrazione sociale degna di una cultura d’amore” e che esorta: “Siamo cristiani, non possiamo non amare e non metterci con gli ultimi che sono l’immagine di Cristo”. “Un giusto discorso”, commentano. (di J. D’Andrea – www.romasette.it)