Pellegrini in Cina per capire Milano

Una delegazione della Curia ambrosiana è in questi giorni a Pechino.

Milano – Ottomila chilometri di viaggio e otto giorni di incontri per comprendere chi abita a Milano da oltre ottant’anni. E la scoperta comincia osservando la differenza degli sguardi: sicuro e fiero, quasi altezzoso, quello dei cinesi incontrati in questi giorni per le vie di Pechino; umile e intimorito, quasi spaventato quello ben noto dei diciottomila abitanti originari del subcontinente asiatico residenti nella Chinatown milanese di Via Paolo Sarpi e nella zona di Villapizzone. “Non riesco a darmi pace – confida don Giancarlo Quadri, Responsabile della Pastorale Migrantes della Diocesi di Milano – perché i cinesi e in generale gli asiatici rimangono per me degli sconosciuti. Come chiesa ambrosiana con gli immigrati di questa nazionalità fatichiamo a dialogare”.

 
“I cinesi sono tra gli immigrati più ‘alternativi’ al nostro modo di essere: anche a livello religioso, e più dei musulmani. Almeno questi ultimi sono monoteisti – gli fa eco don Roberto Davanzo, Direttore di Caritas Ambrosiana -. Ci manca la ‘grammatica’ per poter relazionarci come Chiesa con i cinesi immigrati’.
Don Giancarlo, don Roberto e don Massimo Pavanello (responsabile della pastorale del Turismo della Diocesi di Milano) fino a ieri sono stati in Cina per dare risposta a questi bisogni. Sono l’avanguardia di una Chiesa che – spronata dal Cardinale Dionigi Tettamanzi – non si limita a porre parole e gesti di accoglienza verso gli immigrati ma desidera comprenderli nel loro mondo, nel contesto che vivono da protagonisti. Camminando lungo la Via Chiang An Jie (44 chilometri) di Pechino (oltre 13 milioni di abitanti) o lungo i vialoni anonimi di Chendge “piccola cittadina” – come la chiamano qui – di 3 milioni di abitanti (il doppio di Milano), 300 chilometri a Nord della Capitale, appare chiaro come la conoscenza media di questo popolo sia limitata agli stereotipi della comunicazione mediatica. O come la conoscenza si riduca alle impressioni che se ne ricavano dalla convivenza con gli immigrati presenti a Milano in una condizione non di vita “ordinaria” bensì, spesso, di debolezza e di prova, in un contesto radicalmente differente da quello che li ha formati e generati culturalmente.
“Dobbiamo cominciare a conoscerli ‘a casa loro’, a viverci insieme, altrimenti non si riesce ad elaborare nessuna relazione vera”, argomenta don Giancarlo. E il problema non riguarda solo i 18 mila venuti fino ad ora a Milano. Sono 1,3 miliardi i cinesi e sempre più ne arriveranno anche in Italia. “Nelle nostre città la loro è una presenza quasi impercettibile”, spiega don Davanzo: “i cinesi – per esempio – nel bisogno non si rivolgono ai centri di ascolto della Caritas, sono autosufficienti. Ma solo apparentemente non hanno problemi. Non possiamo non aprire gli occhi verso di loro”.
Questa conoscenza, per il drappello di preti della chiesa milanese in viaggio tra Pechino e Chendge, si è concretizzata nell’incontro con la ritualità sentita ma effimera dei festeggiamenti per il capodanno cinese (tra il 2 e il 3 febbraio, 48 ore ininterrotte di esplosioni di botti), nella visita agli antichi buddisti luoghi di una preghiera popolare intima e intensa, nell’ascolto degli accompagnatori locali, mediante l’osservazione della vita concreta della gente in città e nelle campagne.
“Un decisivo aiuto al dialogo può venire proprio da esperienze come queste, proposte ad un numero sempre maggiore di persone” – aggiunge don Davanzo che è anche Presidente dell’Agenzia ‘Duomo Viaggi’: “a seguito di questa esperienza vogliamo proporre alle parrocchie la possibilità di venire qui per conoscere la storia della presenza cattolica in Cina e di come si è sviluppata. Dobbiamo imparare da questi cristiani che qui hanno saputo dialogare con le grandi filosofie morali dell’Asia. Venire qui sarà un aiuto per essere adeguati al tempo che viviamo. Occorre giocare di anticipo per essere protagonisti del futuro”. Condivide il progetto don Quadri: “Esperienze necessarie. Mentre comprendo il senso religioso dei musulmani, non so niente del senso religioso della vita per i cinesi. Dobbiamo portare qui la nostra gente, dobbiamo sensibilizzarla. Così si evita la diffidenza e non si genera la paura. Dobbiamo mettere in pratica gli insegnamenti del nostro Arcivescovo”.
Un altro significativo “incontro” a Pechino è stato quello con padre Matteo Ricci, gesuita italiano in Cina dal 1582 al 1610. “La chiesa quando enfatizza la dimensione identitaria in realtà sta esprimendo la propria paura, conseguente all’indebolimento della sua identità. Padre Ricci si è fatto cinese con i cinesi e ci insegna che non si deve nascondere la propria identità, ma occorre considerare l’altro non nemico ma amico. Questo missionario dice di una chiesa capace di stare in un contesto radicalmente diverso dal proprio». Una capacità che servirà molto alla chiesa d’occidente, sempre di più circondata in ‘casa propria’ da popoli e culture differenti. (D. Milani – Chiesa di Milano)