Germania: rientra in Italia don Gandini

Era partito per la Germania nel 1973, parroco della Missione Cattolica Italiana di Speyer

Speyer – Quando vediamo lei, ci pare di veder il Papa”! E’la battuta con cui fu accolto la prima volta don Giuliano, capelli bianchissimi, nella comunità di suore, dove ordinariamente celebra nei giorni feriali. Con il suo tratto cordiale l’ex-missionario di Speyer, ora rientrato in Italia, a Verona, crea subito un clima di simpatia e amicizia. Era venuto per la prima volta, giovane sacerdote, nel 1973, con l’intenzione di fermarsi per cinque anni. Si trattenne a Berlino, partecipando ad un corso di studio per nuovi missionari di emigrazione, alla scuola di mons. Fraccari, il mitico fondatore della Missione Italiana di Berlino.

 
E don Giuliano si fermò in Germania, per 37 anni; non a Berlino, ma a Speyer, dove urgeva la presenza di un secondo sacerdote in supporto a don Luigi, missionario di Ludwigshafen. Alcuni anni dopo Speyer si rendeva autonoma, divenendo “Kuratie”. Qui don Giuliano operò ininterrottamente fino a qualche mese fa. Ora era atteso nella sua diocesi di Verona, dove il Vescovo lo assegnò ai Vicariati di Garda e Caprino, come collaboratore, oltre che come corresponsabile per la pastorale estiva “in lingua tedesca” per la zona del lago.
Don Giuliano, qualche rimpianto dopo 36 anni di Germania?
Beh, ho nostalgia della gente. In mezzo a loro ho cercato di non essere il prete che fa il mestiere di parroco, ma un pastore che ama le sue pecore. Nelle varie comunità sparse nel territorio si era creato un clima di famiglia. E poi c’erano i ragazzi, i giovani, gli scout: insomma, soprattutto in certi anni, si sentiva un po’ lo spirito di don Bosco.
So che a volte ci si trova in situazioni conflittuali con la Chiesa tedesca. Tu come hai vissuto il rapporto con i parroci?
Fin dall’inizio mi sono sentito ben accolto e stimato. Con alcuni si sono create delle belle amicizie. Venivano a trovarmi in Italia durante le ferie estive. E’ stata veramente una esperienza positiva.
Se ritornassi oggi in Germania con l’esperienza di tutti questi anni, su che cosa punteresti di più?
Cercherei di non fare certi errori, che hanno fatto tanti di noi, per esempio quando, all’inizio soprattutto, le Missioni facevano la loro strada, senza curare una cooperazione con le parrocchie locali. Allora non avevamo capito che era necessario guardare al futuro, e quindi che era necessario essere a servizio della Chiesa locale e aiutare gli italiani ad inserirsi in essa.
E in Italia che Chiesa hai trovato?
Ho l’impressione che ci si culli sull’esistente. Ogni parrocchia tende a chiudersi in se stessa, quando invece è necessario guardare profeticamente verso il futuro e riconoscere che si devono unire le forze, sia come sacerdoti che come comunità cristiane.
Un consiglio ai missionari in Germania?
Adoperatevi per costruire comunità aperte verso il territorio, verso le parrocchie. Costruite l’unica Chiesa, senza con ciò perdere la nostra identità, non tanto quella italiana, quanto piuttosto quella cristiana. Forse in un prossimo futuro non vi saranno più le Missioni italiane. Resta però la Chiesa, e in essa quelle realtà associative, dove si è riusciti a costruire un forte senso di appartenenza in Cristo. (don Pio Visentin – Corriere d’Italia)