La nostra lingua

Chi ha detto che é povera?

Lingua povera o povera lingua? Come che sia posta la domanda, l’aggettivo ricorre quasi sempre quando si parla della lingua italiana. In realtà le cose non stanno proprio così, o almeno non sono poi così gravi come certe lamentazioni vorrebbero far credere. Occorre distinguere. Incominciamo dalla seconda domanda, poiché indubbiamente le domande sono due e sottendono significati diversi. Povera lingua? Paradossalmente, se si guarda all’estero e agli stranieri, l’espressione compassionevole non ha ragioni di esistere. La nostra lingua è amata, ricercata, studiata e coltivata. Meglio degli italiani. Una notizia, purtroppo sommersa da fatti più gravi, ci informa che in Albania nei giorni scorsi il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, ha firmato un protocollo d’intesa con le autorità albanesi nel quale è previsto che l’italiano sia la prima lingua straniera nelle scuole albanesi e che nelle medie superiori il 50 per cento delle materie sia insegnato in lingua italiana da docenti di madrelingua italiana. A Baghdad, sempre nei giorni scorsi, è stato inaugurato il secondo corso d’italiano presso la scuola di lingue estere del ministero della Difesa iracheno; insegnanti: ufficiali e sottufficiali italiani; studenti: militari iracheni che vogliono imparare, alcuni migliorare, l’uso della lingua italiana. E che dire dei corsi d’italiano, sempre affollati, ovunque nei vari Paesi siano proposti dai nostri istituti di cultura?
Una conferma dell’interesse degli stranieri per la nostra lingua viene dall’Italia. Sono molti gli insegnanti a rilevare che i figli degli immigrati prestano più attenzione allo studio dell’italiano di quanta ne prestino i loro compagni italiani di pari età. Ma non solo i figli, anche i genitori immigrati. Testimonianza ne sia che la prova d’italiano da parte degli stranieri aspiranti al permesso di soggiorno “lungo”, sta dimostrando generalmente una buona conoscenza, se non proprio padronanza, della lingua, almeno a livello di parlato. Semmai sarebbe il caso di osservare che a dar prova di conoscere l’italiano dovrebbero essere chiamati molti italiani, giovani e anziani, soprattutto di una certa età. I primi perché, secondo un’antica e classica scusante nazionale, o luogo comune?, “sono intelligenti ma non si applicano” (anche nello studio della lingua). I secondi perché magari, inevitabilmente, ahimè, l’italiano se lo sono perso, dimenticato per strada.
Lingua povera? Anche qui occorre distinguere. Povera in che senso? Sì è vero la lingua si impoverisce perché molte parole – sostantivi, verbi, aggettivi – sono state o dimenticate dagli adulti o mai conosciute dai più giovani. Zingarelli da due anni segnala 2.900 parole “da salvare”, validissime ma finite nel dimenticatoio, dunque non più “frequentate” da parlanti e scriventi. È un peccato, perché la nostra lingua è ricca di parole per ogni occasione, per ogni particolare, per ogni sfumatura. È un peccato ma che possiamo farci? Ai giovani, soprattutto, piace così. Bando alla ridondanza; largo all’essenziale, al minimo indispensabile per comprendersi. E visti i tempi, convulsi e accelerati, potrebbe pure non essere un male. Consoliamoci, però, chi vuole: perché se la lingua da una parte s’impoverisce, dall’altra si arricchisce. In un anno in Italia spuntano, o si consolidano nell’uso, centinaia, se non migliaia, di neologismi di ogni genere, in massima parte inglesismi e altri forestierismi. I vocabolari, i veri “notai” della lingua, non possono far altro che prendere atto e registrare, dopo un’indispensabile quanto sommaria cernita tra la massa di parole d’accatto. Con buona pace, anzi strombazzato compiacimento, degli editori, i quali vista la moda dei vocabolari a uscita annuale, una qualche sfilza di “novità” la devono pur offrire agli utenti-lettori per giustificare l’acquisto dell’ultima edizione “aggiornata”. Così, con l’avallo del Vocabolario, sono entrate nella lingua italiana parole come alcopop, gollonzo, tronista, barbatrucco, cinecoc omero, chucotage, patchanka, witz, raster, shoujo, tuxedo, falun gong, baggy pants… Poiché al peggio non c’è mai fine, aspettiamoci ora di vedere accolta nella lingua italiana, con la benedizione dei nuovi vocabolari in uscita a maggio, la locuzione “bunga bunga”. Con quale significato non sappiamo. Meglio sorvolare. (Piero Isola – SIR)