Educare alla fraternità

Riflettendo sulle parole del card. Angelo Bagnasco

Il card. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, ha presieduto il 16 gennaio a Genova la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, accompagnato da un mondo meraviglioso di comunità e fedeli provenienti da molti Paesi del mondo, simboleggiati nella Cattedrale di San Lorenzo dalle molte bandiere e dai variopinti costumi, una coreografia intelligentemente costruita dalla Migrantes genovese. Le parole di Paolo nella seconda lettura hanno idealmente unito Genova alla città di Corinto: due città portuali, due mondi di incontri sempre nuovi, due realtà complesse. E come a Corinto Paolo invitava a considerare Sostene un “fratello”, così l’arcivescovo di Genova ha invitato a considerare le persone e le famiglie che provengono da mondi e storie, culture e religioni differenti come “fratelli”, coniugando così il tema scelto da Benedetto XVI per la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato: “Una sola famiglia umana”.
Il cardinale, alla luce anche della ricca storia di mobilità e accoglienza di Genova, e degli Orientamenti pastorali della CEI, “Educare alla vita buona del Vangelo”, nella sua omelia ha indicato un percorso per educare alla fraternità. Citando un passaggio di Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”, il cardinale ha ricordato che “la fraternità umana è l’esperienza, a volte sorprendente, di una relazione che accomuna, di un legame profondo con l’altro, differente da me, basato sul semplice fatto di essere uomini. Assunta e vissuta responsabilmente, essa alimenta una vita di comunione e condivisione con tutti, in particolare con i migranti; sostiene la donazione di sé agli altri, al loro bene, al bene di tutti, nella comunità politica locale, nazionale e mondiale”. Un tema che attraversa, quello della fraternità che caratterizza e attraversa tutta la storia cristiana fino ad oggi. I Padri della Chiesa – ricorda il card. Bagnasco – hanno sottolineato spesso nei loro scritti “il valore della fraternità umana e cristiana: ‘Noi siamo fratelli anche per voi secondo il diritto di natura, che è la nostra unica madre (…). Ma con quanta maggior ragione si chiamano e sono per noi fratelli coloro che (attraverso la fede e il battesimo) riconoscono Dio come loro Padre, coloro che hanno assorbito lo Spirito unico di santità’, scriveva Tertulliano (Apolog. 39, 8). Nello stesso modo, Minucio Felice affermava: ‘Ci chiamiamo l’un l’altro fratelli (…) perché noi siamo figli dell’unico Dio Padre, eletti insieme nella fede, coeredi nella speranza’ (Octavius 31, 8)”.
Un primo aspetto a cui educare le nostre comunità, secondo il cardinale, è il “valore della relazione, dell’incontro con persone e storie, popoli che provengono da mondi, culture, religioni e tradizioni differenti, per crescere nell’accoglienza e nella reciproca stima”. Strumento e metodo della fraternità è il dialogo. “Il dialogo che valorizza le esperienze umane, cristiane e religiose diverse, con alcune particolari attenzioni. In primo luogo il dialogo della vita, che si ha quando le persone si sforzano di vivere pronte a farsi prossimo, condividendo gioie e pene, problemi e preoccupazioni. E poi, il dialogo dell’azione, nel quale i cristiani e gli altri credenti collaborano per lo sviluppo integrale dei singoli e dei popoli. Inoltre, il dialogo dello scambio teologico, col quale gli specialisti cercano di approfondire la comprensione delle loro rispettive eredità spirituali. Infine, il dialogo dell’esperienza religiosa, nel quale le persone, radicate nelle loro tradizioni religiose, condividono le ricchezze spirituali” (Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, “Dialogo e annuncio”, 1991, n.41).
Uno dei segni concreti della fraternità cristiana è riconoscere il diritto di emigrare. “La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo – ricorda Benedetto XVI nel suo messaggio – nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita”. E “al tempo stesso, gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere le proprie frontiere, sempre assicurando il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana”.
Il cardinale ha ricordato, infine, i volti diversi di mobilità a cui le comunità devono essere educate a guardare nelle nostre città con particolare attenzione: i rifugiati e profughi, persone e famiglie vittime di una migrazione forzata, provocata da guerre, persecuzioni politiche e religiose, calamità naturali; gli universitari, volti di una migrazione giovane, culturale, in ricerca.
Il cardinal Bagnasco ha concluso l’omelia invitando i fedeli e tutte le comunità in Italia a volgere lo sguardo alla Santa Vergine, Stella Maris, la grazia di continuare in Italia con rinnovata convinzione questo cammino educativo, che ha come obiettivo rendere la Chiesa, come afferma il Concilio Vaticano II, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1). (G. Perego – Direttore generale Fondazione Migrantes)