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Papa Francesco: “la migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare, diritto a migrare”

8 Marzo 2021 -

Città del Vaticano - «La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare, diritto a migrare». Papa Francesco è atterrato da poche ore a Ciampino dopo una tre giorni in una delle terre più martoriate: l’Iraq. Durante il volo di ritorno, parlando con i giornalisti che lo hanno accompagnato ha detto che la gente irachena «non ha nessuno dei due, perché’ non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché’ il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano». La volta scorsa – ha continuato il pontefice – un sociologo italiano, parlando dell’inverno demografico in Italia «mi diceva che entro quarant’anni dovremo ’importare’ stranieri perché’ lavorino e paghino le tasse delle nostre pensioni. In Francia sono stati più furbi, sono andati avanti di dieci anni con la legge a sostegno della famiglia, il loro livello di crescita è molto grande». «Ma la migrazione la si vive come un’invasione», ha aggiunto: “«Ieri ho voluto ricevere dopo la messa, perché lui lo ha chiesto, il papà di Alan Kurdi, questo bambino, che è un simbolo: per questo io ho regalato la scultura alla Fao. È un simbolo che va oltre un bambino morto nella migrazione, un simbolo di civiltà che muoiono, che non possono sopravvivere, un simbolo di umanità. Servono urgenti misure perché la gente abbia lavoro nei propri Paesi e non debba migrare. E poi misure per custodire il diritto di migrazione. È vero che ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere, perché non è soltanto la capacità di ricevere e lasciarli sulla spiaggia. È riceverli, accompagnarli, farli progredire e integrarli. L’integrazione dei migranti è la chiave». Il papa ha quindi ringraziato «i Paesi generosi che ricevono i migranti: il Libano che ha, credo, due milioni di siriani; la Giordania è generosissima: più di un milione e mezzo di migranti. Grazie a questi Paesi generosi! Grazie tante!”. (Raffaele Iaria)

Un cambiamento dei cuori

8 Marzo 2021 - Città del Vaticano - Erbil, Mosul, Ninive. Nomi che non facciamo fatica a ricordare per la tragedia hanno vissuto solo pochi anni fa, per le ferite che i terroristi dell’Isis hanno inferto a chiese e moschee, per le uccisioni e le violenze sulla popolazione. A Erbil il grande campo profughi ha accolto i rifugiati siriani e oltre 540 mila sfollati iracheni in fuga da Qaraqosh e Mosul occupate. Quest’ultima nei secoli è stata una straordinaria mescolanza di etnie e religioni, fino a quando non è diventata, per tre anni, la capitale del sedicente Stato islamico; da qui sono fuggite almeno 500 mila persone, di cui 120 mila cristiani. Papa Francesco è nella piazza delle Quattro chiese – siro-cattolica, siriaco-ortodossa, armena-ortodossa, e caldea – per la preghiera per le vittime della guerra: «Ti affidiamo coloro, la cui vita terrena è stata accorciata dalla mano violenta dei loro fratelli, e ti imploriamo anche per quanti hanno fatto del male ai loro fratelli e alle loro sorelle: si ravvedano, toccati dalla potenza della tua misericordia». Bacia una croce costruita con pezzi della chiesa di Karamles bruciata dall’Isis, e libera una colomba in segno di pace, nel luogo dove l’Isis aveva minacciato di invadere Roma e mettere la sua bandiera sulla cupola di San Pietro. «Se Dio è il Dio della vita - e lo è - a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace - e lo è - a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore - e lo è - a noi non è lecito odiare i fratelli». Il potere dei segni, come l’abbraccio, virtuale, del Papa a Abdullah Kurdi, il padre del piccolo Alan, l’immagine del piccolo corpo sulla spiaggia turca ha fatto il giro del mondo, morto con la madre e il fratello mentre tentava di raggiungere l’Europa. Ancora una volta Francesco chiede un cambio di mentalità, prega perché tornino i cristiani nelle loro città: «vi incoraggio a non dimenticare chi siete e da dove venite» dice a Qaraqosh, dove l’aiuto della Chiesa e della comunità internazionale nella ricostruzione ha permesso il rientro di poco più del 40 per cento di quanti vi abitavano nell’agosto del 2014. Chiede di «custodire i legami che vi tengono insieme, custodire le vostre radici». È davanti la chiesa dell’Immacolata concezione, profanata dagli uomini dell’Isis che hanno bruciato mobili, registri e libri sacri, e hanno utilizzato il coro come poligono di tiro: «il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola. L’ultima parola appartiene a Dio e a suo figlio, vincitore del peccato e della morte». In questa terza domenica di Quaresima il libro dell’Esodo, la prima lettura, ci ricorda che Dio, al popolo ebraico che attraversa il mar Rosso, dona dieci parole, tre riguardano la relazione con Dio e sette il rapporto con i nostri fratelli. Come dire, si deve vivere bene con Dio, ma per questo è necessario vivere bene con il nostro prossimo. Perdono e conversione sono le due parole proprie del tempo liturgico che stiamo vivendo. I santi sono il punto di riferimento, afferma il Papa che ricorda: «per diventare beati non bisogna essere eroi ogni tanto, ma testimoni ogni giorno». È il Vangelo delle Beatitudini che cambia davvero il mondo, non il potere o la forza. Per questo dice: «non smettere di sognare, non arrendetevi, non perdete la speranza». Il perdono è la parola chiave, necessario, dice, «da parte di coloro che sono sopravvissuti agli attacchi terroristici»; necessario «per rimanere nell’amore, per essere cristiani». Conversione, dunque, perché «serve la capacità di perdonare e nello stesso tempo il coraggio di lottare» per portare «pace in questa terra». Quando Gesù caccia i mercanti dal tempio, è il Vangelo di questa domenica, pone in primo piano la necessità di un cambiamento radicale anche nei nostri cuori, vero tempio di Dio. In questo tempo che ci accompagna alla Pasqua, Gesù entra nei nostri cuori e manda all’aria le bancarelle delle nostre piccolezze e meschinità. Per questo, concludendo la sua giornata nella piana di Ninive, luogo di sofferenze, di ferite di privazioni, Francesco prega «per la conversione dei cuori, per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e dell’amore fraterno, nel rispetto delle differenze, delle diverse tradizioni religiose, nello sforzo di costruire un futuro di unità e collaborazione tra tutte le persone di buona volontà». (Fabio Zavattaro - Sir)    

Papa Francesco agli iracheni: “in questi tempi duri di pandemia, aiutiamoci a rafforzare la fraternità”

4 Marzo 2021 - Città del Vaticano - «Cari fratelli e sorelle, ho tanto pensato a voi in questi anni, a voi che molto avete sofferto, ma non vi siete abbattuti». Così Papa Francesco nel videomessaggio inviato agli iracheni alla vigilia del suo viaggio apostolico nel Paese, che si svolgerà da domani a lunedì, 8 marzo. «A voi, cristiani, musulmani; a voi, popoli, come il popolo yazida, gli yazidi, che hanno sofferto tanto, tanto; tutti fratelli, tutti» ha detto: «ora vengo nella vostra terra benedetta e ferita come pellegrino di speranza. Da voi, a Ninive, risuonò la profezia di Giona, che impedì la distruzione e portò una speranza nuova, la speranza di Dio. Lasciamoci contagiare da questa speranza, che incoraggia a ricostruire e a ricominciare». «E in questi tempi duri di pandemia aiutiamoci a rafforzare la fraternità, per edificare insieme un futuro di pace», ha sottolineato: «Insieme, fratelli e sorelle di ogni tradizione religiosa. Da voi, millenni fa, Abramo incominciò il suo cammino. Oggi sta a noi continuarlo, con lo stesso spirito, percorrendo insieme le vie della pace! Per questo su tutti voi invoco la pace e la benedizione dell’Altissimo. E a tutti voi chiedo di fare lo stesso di Abramo: camminare nella speranza e mai lasciare di guardare le stelle. E a tutti chiedo per favore di accompagnarmi con la preghiera. Shukran!».  

Combattere contro il male

22 Febbraio 2021 - Città del Vaticano - Prima domenica di Quaresima. Quaranta giorni, il tempo dell’attesa, della purificazione. Cifra simbolica: quaranta sono i giorni, e le notti, che Noè trascorre nell’arca durante il diluvio; quaranta i giorni che Mosè passa sul monte Sinai, per accogliere la legge e in questo tempo digiuna. Quaranta gli anni che il popolo di Israele impiega per raggiungere dall’Egitto la terra promessa: «un lungo periodo di formazione per diventare popolo di Dio» diceva Papa Benedetto XVI nella Quaresima del 2012. Il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere il monte Oreb dove incontra Dio. Quaranta sono i giorni che Gesù trascorre nel deserto, il luogo del silenzio, e delle tentazioni. Il luogo dove Dio «parla al cuore dell’uomo», dove «sgorga la risposta della preghiera, cioè il deserto della solitudine, il cuore staccato da altre cose e solo in quella solitudine si apre alla Parola di Dio» afferma papa Francesco all’Angelus di ieri. Mercoledì le ceneri sul nostro capo, inizio della Quaresima, atto che ci ricorda come tutta la nostra esistenza è simile alla cenere, polvere che consuma sicurezze, orgoglio. Polvere come la sabbia del deserto. È nel deserto che Gesù «rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano», come leggiamo in Marco. Il deserto rappresenta la nostra vita, in un certo senso, con le sue difficoltà e le sue debolezze, con la nostra volontà di ascoltare e la nostra incapacità di resistere alle tentazioni. Il deserto è il luogo del silenzio, della povertà; il luogo dove l’uomo è solo, privato di tutto e bisognoso di tutto.  «Ma è anche il luogo della prova e della tentazione – dice Francesco – dove il tentatore, approfittando della fragilità e dei bisogni umani, insinua la sua voce menzognera, alternativa a quella di Dio, una voce alternativa che ti fa vedere un’altra strada, un’altra strada di inganno. Il tentatore seduce». È nel deserto che inizia il “duello” tra Gesù e il maligno che si concluderà con la Passione e la croce, dice il Papa: «tutto il ministero di Cristo è una lotta contro il Maligno nelle sue molteplici manifestazioni: guarigioni dalle malattie, esorcismi sugli indemoniati, perdono dei peccati. È una lotta». Luogo di morte il deserto, non c’è acqua, non si può coltivare nulla, non c’è vita, e forse viene meno anche la speranza. Eppure, è il luogo dove proprio l’essere privati di tutto porta ad affidarsi totalmente al Signore, diventando così il luogo del dialogo con Dio, come ci ricorda la liturgia. Ricorda il Papa: «nelle tentazioni Gesù mai dialoga con il diavolo. Nella sua vita Gesù mai ha fatto un dialogo con il diavolo. O lo scaccia via dagli indemoniati o lo condanna o fa vedere la sua malizia ma mai un dialogo». Anche nel deserto non c’è dialogo tra Gesù e il diavolo: questi fa tre proposte e Gesù «non risponde con le sue parole. Risponde con la Parola di Dio, con tre passi della Scrittura». Mai dialogare con il tentatore, ribadisce Francesco, altrimenti saremo sconfitti: «non c’è dialogo possibile» con il tentatore. Così la morte sul Calvario non è la vittoria del diavolo, ma «l’ultimo deserto da attraversare per sconfiggere definitivamente Satana e liberare tutti noi dal suo potere. E così Gesù ha vinto nel deserto della morte per vincere nella Risurrezione», afferma il Papa che dice: «il nemico è lì accovacciato». Il deserto non è solo territorio presente in alcuni luoghi del mondo, è anche nella nostra vita quotidiana. Non luogo fisico, dunque, «ma dimensione esistenziale in cui fare silenzio, metterci in ascolto della parola di Dio, perché si compia in noi la vera conversione». Ci sono giornate in cui non siamo capaci di avvicinare l’altro, di tendere la mano a chi chiede il nostro aiuto. Ma è proprio in questo deserto che facciamo la prova dell’ascolto della parola di Dio, quando ci troviamo a rispondere alla domanda di fondo: che cosa conta davvero nella mia vita? «Gesù nel deserto ci ricorda che la vita del cristiano, sulle orme del Signore, è un combattimento contro lo spirito del male». Gesù ha vinto il male. «Dobbiamo essere consapevoli della presenza di questo nemico astuto», afferma il Papa, e dobbiamo «prepararci a difenderci da lui e a combatterlo”. La Pasqua «è la vittoria definitiva di Gesù contro il Maligno, contro il peccato e contro la morte». (Fabio Zavattaro - Sir)    

La compassione di Dio

15 Febbraio 2021 - Città del Vaticano - Dopo l’indemoniato nella Sinagoga di Cafarnao, dopo la suocera di Simone, Marco, nel suo Vangelo, ci descrive una nuova guarigione, e ci mostra il clima nuovo che nasceva al suo passaggio: “venne a Gesù un lebbroso”. Davvero strano che un lebbroso osasse avvicinarsi a Gesù, superando un abissale distanza garantita dalla legge: il libro del Levitico lo dichiarava impuro, ne descriveva gli abiti che doveva indossare e lo obbligava a dichiararsi impuro; solo un sacerdote poteva liberarlo da questa condizione. Ma per Gesù niente è così grave e terribile da allontanare qualcuno definitivamente da Dio. E la richiesta del lebbroso – “se vuoi, puoi purificarmi” – è più di una semplice guarigione corporale; egli vuole essere reintegrato nella vita sociale e religiosa. Bisogna anche ricordare che il termine lebbra – il morbo di Hansen fu scoperto solo nel 1871 – nella Bibbia aveva un’accezione più ampia, indicando tutta una serie di mali della pelle, marchio visibile di una colpa commessa, dunque castigo di Dio a seguito di un peccato commesso. Ma da chi poteva andare questo malato se non da Gesù, che mangia con i pubblicani, con i peccatori; che non ha paura del contagio, perché niente per lui è impuro, e lo vince con la vicinanza, con il suo stendere la mano per far alzare il malato. La lebbra, per l’antica legge ebraica, era considerata non solo malattia ma la più grave forma di impurità. Nella lebbra, ricordava Benedetto nel 2009, si può intravvedere un simbolo del peccato “che è la vera impurità del cuore, capace di allontanarci da Dio”. Non è la malattia fisica della lebbra “a separarci da lui, ma la colpa, il male spirituale e morale”. Gesù, dunque, si lascia avvicinare, si commuove e “stese la mano e lo toccò”: impensabile gesto. Ma così, dice il Papa all’Angelus “realizza la Buona Notizia che annuncia: Dio si è fatto vicino alla nostra vita, ha compassione per le sorti dell’umanità ferita e viene ad abbattere ogni barriera che ci impedisce di vivere la relazione con lui, con gli altri e con noi stessi”. Gesù si è avvicinato al lebbroso, ha avuto compassione e tenerezza. Vicinanza, compassione e tenerezza, sono le tre parole che per il Papa “indicano lo stile di Dio”. Nel racconto di Marco leggiamo inoltre due trasgressioni, afferma il vescovo di Roma. La prima è quella del lebbroso: “nonostante le prescrizioni della Legge, egli esce dall’isolamento e viene da Gesù” e in lui “può vedere un altro volto di Dio: non il Dio che castiga, ma il Padre della compassione e dell’amore, che ci libera dal peccato e mai ci esclude dalla sua misericordia”. Qui Francesco ha un pensiero per i tanti confessori “che non sono con la frusta in mano, ma soltanto per ricevere, ascoltare, e dire che Dio è buono e che Dio perdona sempre, che Dio non si stanca di perdonare”. Il secondo trasgressore, per il Papa, è Gesù stesso che non rispetta la legge: “è vero, è un trasgressore. Non si limita alle parole, ma lo tocca. E toccare con amore significa stabilire una relazione, entrare in comunione, coinvolgersi nella vita dell’altro fino a condividerne anche le ferite”. Gesù mostra che Dio “non è indifferente”, non si tiene a “distanza di sicurezza”; ha compassione “si avvicina e tocca la nostra vita per risanarla con tenerezza”. Anche oggi ci sono persone che soffrono per questa malattia o per condizioni “cui è associato un pregiudizio sociale”, dice il Papa all’Angelus, nel quale fa gli auguri ai fidanzati per San Valentino e dice: “che bella la piazza con il sole”. Anche a noi “può capitare di sperimentare ferite, fallimenti, sofferenze, egoismi che ci chiudono a Dio e agli altri. Perché il peccato ci chiude in noi stessi. Dinanzi a tutto questo, Gesù ci annuncia che Dio non è un’idea o una dottrina astratta, ma Colui che si ‘contamina’ con la nostra umanità ferita e non ha paura di venire a contatto con le nostre piaghe”. Per rispettare “le regole della buona reputazione e delle consuetudini sociali”, noi, invece, spesso “mettiamo a tacere il dolore o indossiamo delle maschere che lo camuffano”, per i nostri egoismi o le nostre paure, e “non ci coinvolgiamo troppo nelle sofferenze degli altri”. Francesco ci chiede di vivere le trasgressioni del lebbroso e di Gesù, il cui amore “fa andare oltre le convenzioni, fa superare i pregiudizi e la paura di mescolarci con la vita dell’altro”. (Fabio Zavattaro)  

Papa Francesco: “pregare per sostenere le vittime della tratta e le persone che accompagnano i processi di integrazione e di reinserimento sociale”

8 Febbraio 2021 - Città del Vaticano – La giornata di oggi, nella memoria di Santa Bakhita che «ha vissuto il dramma della tratta nella propria vita» è «importante, perché ci aiuta tutti a ricordare questo dramma, e ci incoraggia a non smettere di pregare e di lottare insieme». Lo ha detto Papa Francesco in un messaggio video ai partecipanti alla maratona di preghiera on line in occasione della Giornata Mondiale contro la Tratta sul tema “Economia senza tratta”. Possano la riflessione e la presa di coscienza essere «sempre accompagnate da gesti concreti, che aprono anche strade di emancipazione sociale» ha detto il pontefice aggiungendo che c’è «bisogno di pregare per sostenere le vittime della tratta e le persone che accompagnano i processi di integrazione e di reinserimento sociale». E citando il tema della giornata ha detto che una economia senza tratta è “un’economia di cura”, una «economia con regole di mercato che promuovono la giustizia» e una «economia coraggiosa». «La pandemia del Covid – ha detto il Papa - ha esacerbato e aggravato le condizioni di sfruttamento lavorativo; la perdita di posti di lavoro ha penalizzato tante persone vittime della tratta in processo di riabilitazione e reinserimento sociale». La tratta di persone «trova terreno fertile nell’impostazione del capitalismo neoliberista, nella deregolamentazione dei mercati che mira a massimizzare i profitti senza limiti etici, senza limiti sociali, senza limiti ambientali»: “«se si segue questa logica, esiste solamente il calcolo di vantaggi e svantaggi». La memoria liturgica di Santa Bakhita – ha concluso il papa - è «un richiamo forte a questa dimensione della fede e della preghiera: la sua testimonianza risuona sempre viva e attuale! Ed è un richiamo a mettere al centro le persone trafficate, le loro famiglie, le loro comunità. Sono loro il centro del nostro pregare. Santa Bakhita ci ricorda che esse sono le protagoniste di questa giornata, e che tutti noi siamo al servizio». (Raffaele Iaria)  

Papa Francesco: appello in favore dei minori migranti non accompagnati

8 Febbraio 2021 - Città del Vaticano - Desidero rivolgere un appello in favore dei minori migranti non accompagnati. Sono tanti! Purtroppo, tra coloro che per vari motivi sono costretti a lasciare la propria patria, ci sono sempre decine di bambini e ragazzi soli, senza la famiglia ed esposti a molti pericoli. In questi giorni, mi è stata segnalata la drammatica situazione di quelli che si trovano sulla cosiddetta “rotta balcanica”. Ma ce ne sono in tutte le “rotte”. Facciamo in modo che a queste creature fragili e indifese non manchino la doverosa cura e canali umanitari preferenziali.  

Papa Francesco: lavorare per “un’economia che non favorisca traffici ignobili”

8 Febbraio 2021 - Città del Vaticano - Oggi, memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, religiosa sudanese che conobbe le umiliazioni e le sofferenze della schiavitù, si celebra la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Quest’anno - ha detto ieri papa Francesco dopo la preghiera mariana dell'Angelus - l’obiettivo è «lavorare per un’economia che non favorisca, nemmeno indirettamente, questi traffici ignobili, cioè un’economia che non faccia mai dell’uomo e della donna una merce, un oggetto, ma sempre il fine. Il servizio all’uomo, alla donna, ma non usarli come merce». «Chiediamo a Santa Giuseppina Bakhita che ci aiuti in questo", ha pregato il Papa.  

Gesù ci guarisce

8 Febbraio 2021 - Città del Vaticano - La gente in fila non sapeva bene cosa ci fosse dietro la porta della casa di Simone e Andrea, ma certo aveva riposto in quel luogo la speranza, tanto da portare malati e indemoniati. Perché? Di fronte alle sofferenze che sfigurano il volto delle persone, al dolore cui non sappiamo dare una risposta, alla malattia che ci vede impotenti, siamo assaliti da interrogativi, rifiutiamo ogni sorta di giustificazione, e alla fine chiediamo a Dio: perché? Giobbe, è la prima lettura, chiede a Dio di ricordarsi che ha una responsabilità di fronte all’uomo e alla sua sofferenza: «i miei giorni svaniscono senza un filo di speranza». È un soffio la vita, così di fronte alle avversità ecco il grido di ribellione: perché. Papa Francesco torna ad affacciarsi per l’Angelus – «un’altra volta in piazza» – e commenta il brano di Marco, la guarigione della suocera di Pietro. Se è vero che la vita degli uomini è dura, e lo vediamo soprattutto in questi tempi difficili, la pandemia, dove i più colpiti sono tanti, soprattutto i più poveri, è altrettanto vero, come mostra la giornata di Cafarnao di Gesù, che dal Vangelo troviamo la forza, l’energia per andare avanti. Gesù guarisce le persone malate, ferite. «La voce di Giobbe, che risuona nella Liturgia odierna, ancora una volta – dice il Papa – si fa interprete della nostra condizione umana, così alta nella dignità e nello stesso tempo così fragile. Di fronte a questa realtà, sempre sorge nel cuore la domanda: perché?”. È la prima guarigione raccontata da Marco, ma vediamo il modo con cui viene raccontata dall’evangelista. Gesù non parla, non risponde a domande o suppliche che sicuramente gli avranno fatto nella casa di Cafarnao, neppure una preghiera, ma compie un semplice gesto. La donna è febbricitante a letto: «si avvicinò, la fece alzare prendendola per mano”, leggiamo in Marco. Dice Francesco: “c’è tanta dolcezza in questo semplice atto, che sembra quasi naturale: la febbre la lasciò ed ella li serviva. Il potere risanante di Gesù non incontra alcuna resistenza; e la persona guarita riprende la sua vita normale, pensando subito agli altri e non a sé stessa – e questo è significativo, è segno di vera salute». Gesù agisce, non risponde con le parole, ma con i fatti, “con una presenza d’amore”, si china e prende la mano, dice il Papa. «Chinarsi per far rialzare l’altro. Non dimentichiamo che l’unico modo lecito di guardare una persona dall’alto in basso è quando tu tendi la mano per aiutarla a sollevarsi. Questa è la missione che Gesù ha affidato alla Chiesa. Il Figlio di Dio manifesta la sua Signoria non ‘dall’alto in basso’, non a distanza, ma chinandosi, tendendo la mano; manifesta la sua Signoria nella vicinanza, nella tenerezza e nella compassione. Vicinanza, tenerezza, compassione sono lo stile di Dio». Il Vangelo ci dice anche che non solo la suocera di Pietro, ma anche altre persone, in attesa davanti la porta, sono state guarite in quella prima giornata a Cafarnao. Viene spontaneo pensare alle tantissime persone colpite dalla guerra, dalla fame, dall’indifferenza, che vagano cercando una porta cui bussare, e che molto spesso resta chiusa. Ricorda il Papa la tragedia di tanti minori migranti «esposti a molti pericoli» lungo la cosiddetta rotta balcanica, o le altre rotte: «facciamo in modo che a queste creature fragili e indifese non manchino la doverosa cura e canali umanitari preferenziali». Ricorda ancora la drammatica situazione del Myanmar, e parla di “inverno demografico” invitando a non chiudere le porte di fronte alla vita, per una «nuova primavera di bambini e bambine». Ma torniamo a quella sera a Cafarnao. La gente in fila non sapeva bene cosa ci fosse dietro la porta della casa di Simone e Andrea, ma certo aveva riposto in quel luogo la speranza, tanto da portare malati e indemoniati. Gesù guarisce mostrando così «la sua predilezione per le persone sofferenti nel corpo e nello spirito». I discepoli sono stati testimoni oculari, hanno visto  «e poi lo hanno testimoniato». Non spettatori perché Gesù  «li ha coinvolti, li ha inviati, ha dato anche a loro il potere di guarire i malati e scacciare i demoni». Prendersi cura dei malati per la Chiesa non è una “attività opzionale. Non è qualcosa di accessorio. Prendersi cura dei malati di ogni genere fa parte integrante della missione della Chiesa, come lo era di quella di Gesù. E questa missione è portare la tenerezza di Dio all’umanità sofferente». (Fabi Zavattaro) ​    

Giornata Internazionale della Fratellanza Umana: Papa Francesco partecipa alla prima celebrazione

1 Febbraio 2021 - Città del Vaticano – Papa Francesco celebrerà la Giornata Internazionale della Fratellanza Umana giovedì 4 febbraio in un evento virtuale organizzato dallo Sceicco Mohammed Bin Zayed ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, con la partecipazione del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb; il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres e altre personalità. Nella medesima occasione, fa sapere oggi il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, verrà assegnato il Premio Zayed per la Fratellanza Umana che si ispira al Documento sulla Fratellanza Umana. L’incontro e la cerimonia di premiazione verranno trasmessi in streaming in diverse lingue dalle ore 14.30 da Vatican News, il portale di informazione multimediale della Santa Sede, e diffusi da Vatican Media. «Questa celebrazione risponde al chiaro invito rivolto da Papa Francesco a tutta l’umanità a costruire un presente di pace nell’incontro con l’altro», ha sottolineato il card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. «Nell’ottobre 2020, tale invito divenne ancora più ineludibile con l'Enciclica Fratelli tutti. Questi incontri sono un modo per realizzare un’amicizia sociale autentica, come ci ha chiesto il Santo Padre», ha aggiunto. La data non è una coincidenza. Il 4 febbraio 2019, nel corso del Viaggio Apostolico del Pontefice negli Emirati Arabi Uniti, il Papa e il Grande Imam di Al-Azhar (Il Cairo), Ahmad Al-Tayyeb, firmarono il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la convivenza comune. Il Papa e il Grande Imam hanno dedicato quasi un anno e mezzo alla stesura di questo Documento finché non ne hanno dato annuncio insieme durante una visita di così storica portata. Pochi mesi dopo è stato istituito l’Alto Comitato per la Fratellanza Umana per tradurre le aspirazioni del Documento sulla Fratellanza Umana in impegni e azioni concrete, per promuovere la fraternità, la solidarietà, il rispetto e la comprensione reciproca, sottolinea la nota. L’Alto Comitato ha in programma di istituire una Casa Famiglia Abramitica, con una sinagoga, una chiesa e una moschea, sull’Isola Saadiyat ad Abu Dhabi. Ha costituito una giuria indipendente che riceve candidature al Premio Zayed per la Fratellanza Umana, selezionando i vincitori il cui lavoro si è distinto per l’impegno permanente a favore della fraternità umana. Papa Francesco ha esortato la Santa Sede a partecipare alla celebrazione della Giornata Internazionale della Fratellanza Umana sotto la guida del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Nell’edizione di gennaio del Video del Papa “Al servizio della Fraternità Umana”, il Papa ribadisce l’importanza di concentrarsi su ciò che è essenziale alla fede di tutte le fedi: adorare Dio ed amare il prossimo.  «La fratellanza ci induce ad aprirci al Padre di tutti e a vedere nell'altro un fratello, una sorella, a condividere la vita, a sostenerci reciprocamente, ad amare, a conoscere», sottolinea nel video Papa Francesco.