“E gli albanesi in Italia trovarono l’inferno”: un documentario al Festival di Venezia

Venezia – La dolcezza della nave doveva dipendere dal suo carico: zucchero cubano. Invece, è il sudore dell’umanità che pervase i suoi ponti. Ventimila uomini, donne e bambini finalmente liberi e poverissimi, entrarono nel porto di Bari l’8 agosto 1991 abbarbicati alla Vlora giunta da Durazzo, presa d’assalto dopo che l’Albania si era liberata dalla dittatura comunista. Le immagini ricavate dagli archivi di entrambi i paesi e ‘reimpaginate’ da Daniele Vicari nel suo documentario fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia – potenti, terribili, rimosse – La nave dolce e le testimonianze che le raccontano (c’è pure Kledi Kadiu, all’epoca ado-lescente, poi ballerino di successo) creano un senso di disarmante tragicità. Dopo giorni di forzata e inumana reclusione nello stadio barese, furono respinti oltre 18.000 albanesi seminudi, affamati e disperati. Fu un’apocalisse umanitaria, una pagina di storia italiana amara.

 
“Un pugno nello stomaco – precisa Vicari –, l’Italia non aveva ancora capito i grandi mutamenti avvenuti dopo il crollo del Muro. Non furono respinte persone arrivate per fame ma per un anelito di libertà, per il desiderio di migliorare la loro vita, motivi che riguardano l’essere umano in quanto tale. Quei fatti significano due cose: che non siamo stati capaci di affrontare nella maniera adeguata quell’emergenza, e che un paese di profonde radici democratiche come il nostro non aveva ben digerito la parola democrazia, che significa anzitutto apertura nei confronti degli altri e delle loro idee”.